Sezione seconda
VITA PRIMA
DI SAN FRANCESCO D'ASSISI
di Tommaso da Celano
PARTE SECONDA
Incomincia la parte seconda.
Ultimi due anni e felice transito
del beato padre nostro Francesco
CAPITOLO I
CONTENUTO DI QUESTA PARTE.
BEATO TRANSITO
E MIRABILE ASCESA DEL SANTO
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88. Nella prima parte del nostro lavoro, condotto a termine con l'aiuto di Dio, ci siamo soffermati sulla vita e sulle opere del beatissimo padre nostro Francesco fino al diciottesimo anno della sua conversione; ora aggiungiamo brevemente le altre notizie degne di fede, che abbiamo potuto raccogliere circa gli ultimi due anni della sua vita. E vogliamo riferirne qui solo i dati essenziali, lasciando ad altri la via aperta per una più ampia esposizione.
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L'anno 1226, indizione XV, il 4 di ottobre, in giorno di domenica, in Assisi, sua città natale, presso Santa Maria della Porziuncola, dove egli aveva fondato l'Ordine dei frati minori, il beatissimo padre nostro Francesco, a vent'anni dalla sua piena adesione a Cristo, seguendo la vita e gli esempi degli apostoli, si libera dal carcere della carne, e portando a compimento la sua opera, se ne va felicemente nel soggiorno dei beati. Tra inni e lodi il suo sacro corpo viene collocato e riverentemente custodito in quella città, e a gloria di Dio rifulge per molti miracoli.
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89. Poiché nella prima età era stato lasciato ignaro quasi del tutto delle realtà divine, Francesco aveva trascorso parecchio tempo seguendo liberamente e vogliosamente le passioni naturali; ma poi, quando la destra del Signore si volse verso di lui, riuscì a districarsi dal peccato, e da allora, per grazia e virtù dell'Altissimo, fu ripieno di sapienza divina più di tutti i suoi contemporanei. Infatti, in mezzo all'avvilimento, non di pochi ma generale, in cui era caduta la dottrina evangelica, a motivo dei costumi di coloro che la insegnavano, la Provvidenza di Dio mandò nel mondo questo uomo, perché, come gli apostoli, fosse testimone della verità davanti a tutti gli uomini. E realmente egli dimostrò con chiarezza, mediante la parola e l'esempio, quanto fosse stolta la sapienza terrena, e in breve, sotto la guida di Cristo, trascinò gli uomini, mediante la stoltezza della predicazione, alla autentica sapienza divina.
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Simile a un fiume del Paradiso, il nuovo evangelista di questo ultimo tempo, ha diffuso con amorosa cura le acque del Vangelo per il mondo intero, e con le opere ha additato la via e la vera dottrina del Figlio di Dio. Così in lui e per suo merito, il mondo ritrovò una nuova giovinezza e una insperata esultanza, e il virgulto dell'antica religione ha subito rinnovato rami, che erano ormai vecchi e decrepiti. Gli eletti furono riempiti di uno spirito nuovo e dell'abbondanza della grazia, quando questo santo servo di Cristo, come astro celeste, ha irradiato la luce della sua originale forma di vita e dei suoi prodigi.
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Tramite Francesco si sono rinnovati gli antichi miracoli, quando nel deserto di questo mondo è stata piantata una vite feconda, che produce, mediante un modo di vita nuovo, ma fedele agli antichi, fiori profumati di sante virtù e stende ovunque i tralci della santa religione.
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90. La fragilità della condizione umana, che aveva in comune con noi, non lo trattenne nell'osservanza dei precetti comuni; ma, trascinato da un amore intenso, volle camminare la via della perfezione e raggiunse la vetta della più sublime santità e contemplò il termine di tutta la perfezione(Sal 118,96).
Perciò ogni persona, di qualsiasi condizione, sesso ed età, può trovare in lui limpide direttive di sana dottrina e splendidi esempi di opere virtuose. Chi vuole, dunque, metter mano a cose grandi e conquistare i doni più alti della via della perfezione, guardi nello specchio della sua vita e imparerà ogni perfezione. Chi invece preferisse un cammino meno arduo e esercizi più modesti, temendo di non farcela a scalare la cima del monte, guardi ancora a lui: vi troverà gli insegnamenti adatti anche a questo grado di vita spirituale. Chi infine va alla ricerca di rivelazioni prodigiose e di miracoli, badi alla santità di Francesco e sarà accontentato.
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Proprio la sua vita gloriosa illumina la perfezione dei primi santi di luce più fulgida: lo provano e lo manifestano in modo evidentissimo la Passione di Gesù Cristo e la croce di lui. E veramente il venerabile padre portava impressi nella carne i cinque segni della passione e della croce, come se fosse stato appeso alla croce con lo stesso Figlio di Dio. Questo sacramento è grande(Cfr Ef 5,32) e manifesta la sublimità della prerogativa dell'amore; ma esso cela un arcano disegno e un sublime mistero, noto solo a Dio, crediamo, e rivelato in parte dallo stesso Santo ad una sola persona.
E perciò non conviene fermarsi più a lungo a lodare il Santo, dal momento che è stato esaltato da Colui che è di tutti lode, il Signore, sorgente e splendore inesauribile e che dà in premio l'eterna luce. Benedicendo, dunque, Iddio, santo, vero e glorioso, riprendiamo la semplice narrazione dei fatti.
CAPITOLO II
IL DESIDERIO PIÙ GRANDE DI FRANCESCO,
E COME, APRENDO IL LIBRO DEL VANGELO,
CONOBBE IL VOLERE DI DIO
NEI SUOI CONFRONTI
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91. Desiderando il beato e venerabile padre Francesco, occuparsi solo di Dio e purificare il suo spirito dalla polvere del mondo che eventualmente l'avesse contaminato nel suo stare con gli uomini, un giorno si ritirò in un luogo di raccoglimento e di silenzio, abbandonando le folle che ogni giorno accorrevano devotamente a lui per ascoltarlo e vederlo. Egli era solito dividere e destinare il tempo che gli era concesso, per acquistar grazie, secondo che gli sembrava più opportuno, una parte per il bene del prossimo, l'altra riservata alla contemplazione solitaria. Prese pertanto con sé pochissimi compagni, tra i più intimi e partecipi della sua vita, perché lo salvaguardassero dalle visite e dal disturbo degli uomini e fossero custodi amorosi e fedeli della sua quiete. Rimase in quella solitudine per un certo periodo, e avendo con la preghiera intima e la frequente contemplazione raggiunta una straordinaria familiarità con Dio, bramava sapere che cosa di lui e in lui potesse essere più gradito all'eterno Re.
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Intanto studiava con tutta la sua mente e con tutto l'amore di conoscere quale modo e quale via potevano essere più adatti per raggiungere una unione ancora più perfetta col Signore Dio, secondo il disegno e il decreto della Sua volontà. E questa fu sempre la sua unica filosofia, il suo supremo desiderio nel quale bruciò finché visse; e chiedeva a tutti, ai semplici come ai sapienti, ai perfetti come agli imperfetti, come poter raggiungere la via della verità e pervenire a mete sempre più alte.
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92. In realtà, pur essendo egli perfettissimo tra i perfetti, non ammettendolo, si stimava il più imperfetto di tutti. Aveva infatti gustato e provato personalmente quanto è dolce, soave e buono il Dio d'Israele per i retti di cuore (Sal 72,1), che lo cercano sempre con semplicità pura e con purezza vera. La dolcezza e soavità, che egli sentiva infusa dall'alto nella sua anima, dono rarissimo concesso a pochissimi, lo spingeva a dimenticare totalmente se stesso, e allora, riboccante di tale gaudio, bramava con tutte le forze ascendere alla vita immortale degli spiriti eletti, dove uscendo da se stesso col desiderio in parte si era già elevato. Ripieno dello spirito di Dio, era pronto ad affrontare qualsiasi angustia di spirito, qualsiasi tormento nel corpo, a patto che gli fosse concesso quanto bramava: che si compisse in lui totalmente la misericordiosa volontà del Padre celeste.
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A questo scopo, un giorno si accostò all'altare che era stato eretto in quell'eremitorio, e vi depose sopra devotamente il libro dei Vangeli. Poi, prostrato in preghiera non meno col cuore che col corpo, implorava umilmente Dio buono, padre della misericordia e Dio di ogni consolazione (2Cor 1,3) che si degnasse manifestargli il suo santissimo volere, e perché potesse condurre a compimento quello che un tempo aveva intrapreso con semplicità e devozione, lo pregava e supplicava di rivelargli alla prima apertura del libro quanto gli conveniva fare. Si conformava così a quegli antichi grandi maestri di santità che avevano aigito, ispirati da Dio, in modo analogo.
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93. Terminata la preghiera, si alzò e con spirito di umiltà e contrizione di cuore (Dn 3,9), fatto il segno della santa croce, prese il libro dall'altare e lo aprì con riverenza e timore. Ora avvenne che alla apertura del libro, la prima cosa sulla quale si posarono i suoi occhi fu la passione di nostro Signor Gesù Cristo, ma solo nel tratto in cui viene predetta. Per timore che si trattasse di un caso fortuito, chiuse e riaperse il libro una seconda e una terza volta, e risultò sempre un passo uguale o somigliante. Il servo di Dio che era pieno dello Spirito di Dio, capì allora che sarebbe entrato nel Regno dei Cieli solo attraverso innumerevoli tribolazioni, angustie e lotte.
Ma non si turbò il fortissimo soldato di Cristo al pensiero delle lotte che l'attendevano, né si perse d'animo davanti alle battaglie del Signore che avrebbe dovuto combattere sulla terra. Non poteva temere di soccombere davanti all'avversario lui che non cedeva neppure davanti a se stesso dopo le lunghe e sovrumane fatiche che aveva sostenuto. Era davvero di un fervore unico, e se nei secoli passati si può trovare qualche suo emulo nei buoni propositi, tuttavia non si riscontra chi lo uguagli nel fervore del desiderio. Gli riusciva più facile compiere le cose più perfette che predicarle, poiché più che alle parole che rivelano la virtù ma non fanno l'uomo virtuoso, impiegava tutte le sue forze in opere sante. Perciò, sicuro e lieto cantava a sé e a Dio canti di letizia nel suo cuore (Ef 5,19). Per questo, a lui che si è rallegrato tanto della rivelazione più piccola, ne viene elargita una ben maggiore, ed essendo stato fedele nel poco, gli è dato autorità su molto(Mt 25,21).
CAPITOLO III
VISIONE DI UN UOMO
IN FIGURA DI SERAFINO CROCIFISSO
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94. Allorché dimorava nel romitorio che dal nome del luogo è chiamato "Verna ", due anni prima della sua morte, ebbe da Dio una visione. Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, confitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo.
A quell'apparizione il beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato.
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Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso.
95. Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati nell'esterna, e formavano quasi una escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta. Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutande.
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Ben pochi ebbero la fortuna di vedere la sacra ferita del costato del servo del Signore stimmatizzato mentre egli era in vita. Ma fortunato frate Elia che, ancor vivente il Santo, meritò di scorgerla almeno, e non meno fortunato frate Rufino che la poté toccare con le proprie mani. Mentre una volta gli praticava una frizione sul petto, la mano gli scivolò, come spesso capita, sul lato destro e così toccò quella preziosa cicatrice. Francesco ne sentì grande dolore e allontanò la mano, gridando che Dio lo perdonasse. Infatti con ogni cura teneva nascosto il prodigio agli estranei, ma anche agli amici e ai confratelli, tanto che non ne seppero nulla per lungo tempo perfino i suoi seguaci più intimi e devoti. Questo fedelissimo discepolo del Signore, pur vedendosi ornato con tali meravigliosi segni, quasi perle preziosissime del Cielo e coperto di gloria e onore più d'ogni altro uomo, non se ne gonfiò mai in cuor suo, né mai cercò di vantarsene con alcuno per desiderio di gloria vana, al contrario, temendo sempre che la stima degli uomini gli potesse rubare la grazia divina, si industriava il più possibile di tenerla celata agli occhi di tutti.
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96. Si era fatto Un programma di non manifestare quasi a nessuno il suo straordinario segreto, nel timore che gli amici, non resistessero alla tentazione di divulgarlo per amicizia, come suole accadere, e gliene venisse una diminuzione di grazia. Aveva pertanto continuamente sulle labbra il detto del salmista: Nel mio cuore ho riposto tutte le tue parole, per non peccare dinanzi a Te (Sal 118,11). Si era addirittura accordato con i suoi fratelli e figli di ripetere questo versetto come segno che intendeva troncare la conversazione coi borghesi che venivano da lui; a quel segnale essi dovevano cortesemente licenziare i visitatori. Aveva sperimentato quanto è nocivo all'anima comunicare tutto a tutti, e sapeva che non può essere uomo spirituale colui che non possiede nel suo spirito segreti più numerosi e profondi di quelli che potevano essere letti sul viso e giudicati in ogni loro parte dagli uomini. Si era infatti imbattuto in persone che esteriormente mostravano d'essere d'accordo con lui, mentre la pensavano diversamente: in sua presenza lo apprezzavano, in sua assenza lo disprezzavano; e questi lo indussero a un giudizio di disapprovazione verso di loro, e qualche volta gli resero un poco sospette anche persone che venivano a lui con sentimenti retti.
Così purtroppo spesso avviene che la malignità cerca di screditare tutto ciò che è puro, e poiché la menzogna è vizio di molti, si finisce per non credere più alla sincerità dei pochi.
CAPITOLO IV
FERVORE DI SAN FRANCESCO
E SUA MALATTIA AGLI OCCHI
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97. In quello stesso periodo, il suo corpo cominciò ad essere tormentato da mali fisici diversi e più violenti. Soffriva infatti parecchie malattie in conseguenza delle aspre penitenze cui già da anni sottoponeva il suo corpo. Esattamente per diciott'anni, quanti erano passati da quando aveva cominciato le sue peregrinazioni per varie e vaste regioni, impegnato a diffondere la parola evangelica, animato da costante e ardente spirito di fede, quasi mai si era preoccupato di dare un po' di riposo alle sue membra affrante. Aveva riempito la terra del Vangelo di Cristo. Era capace di passare per quattro o cinque città in un sol giorno, annunciando a tutti il Regno di Dio. Edificava gli uditori non meno con l'esempio che con la parola, si potrebbe dire divenuto tutto lingua.
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L'accordo tra lo spirito e la carne appariva in lui così perfetto, che quest'ultima, invece di costituire un ostacolo al primo, lo precedeva nella corsa verso la santità, come dice la Scrittura: Di Te ha sete la mia anima, e quanto anche la mia carne (Sal 62,2). L'obbedienza assidua aveva finito per rendere volontaria questa sottomissione, e questa docilità di ogni giorno l'aveva reso luogo proprio di una grande virtù; infatti spesso la consuetudine si tramuta in natura.
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98. Ma poiché è legge di natura ineluttabile che il corpo si consumi ogni giorno, mentre lo spirito si può ringiovanire, avvenne che quell'involucro preziosissimo che racchiudeva quel celeste tesoro, cominciò a cedere da tutte le parti e a indebolirsi notevolmente. Siccome però, come dice la Scrittura: Quando un uomo ha finito, allora comincia e quando sarà consumato opererà (Sal 18,6), si vide il suo spirito farsi più pronto nella carne inferma. Tanto vivo era il suo amore per la salvezza delle anime, che per conquistarle a Dio, non avendo più la forza di camminare, se ne andava per le contrade in groppa ad un asinello. Spesso i confratelli con dolce insistenza lo invitavano a ristorare un poco il suo corpo infermo, e troppo debole con cure mediche, ma egli, che aveva lo spirito continuamente rivolto al cielo, declinava ogni volta l'invito, poiché desiderava soltanto sciogliersi dal corpo per essere con Cristo(Fil 1,23).
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Anzi, poiché non aveva ancora completato nella sua carne quanto mancava alla Passione di Cristo (Cof Col 1,24), sebbene ne portasse nel corpo le stimmate, incorse in una gravissima malattia d'occhi, come se Iddio mandasse a lui un nuovo segno della sua misericordia. E siccome quella malattia si aggravava di giorno in giorno e sembrava peggiorare per la mancanza di ogni cura, frate Elia, che Francesco aveva scelto come madre per sé e costituito padre per gli altri frati, lo costrinse a non rifiutare i rimedi della medicina in nome del Figlio di Dio, che la creò, secondo la testimonianza della Scrittura: l'Altissimo ha creato in terra la medicina e il savio non la respingerà (Sir 38,4). A quelle parole Francesco obbedì.
CAPITOLO V
AL CARDINALE UGOLINO, VESCOVO DI OSTIA,
CHE LO RICEVE BENEVOLMENTE A RIETI,
IL SANTO PREDICE LA NOMINA A SOMMO PONTEFICE
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99. Si provarono diversi medici con rimedi diversi, ma non se ne fece nulla; allora Francesco si recò a Rieti, dove si diceva dimorasse uno specialista molto esperto per la cura di quel male. A1 suo arrivo fu accolto benevolmente e con amore da tutta la curia romana, che in quel periodo risiedeva in quella città, ma in modo tutto particolare lo ricevette con tanta devozione il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia, famoso allora per rettitudine e santità di vita.
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Il beato Francesco lo aveva scelto col consenso e beneplacito del papa Onorio III, come signore e protettore del suo Ordine, proprio perché gli era cara la beata povertà e onorava assai la santa semplicità. Questo prelato imitava la vita dei frati e, desideroso di raggiungere la santità, era semplice con i semplici, umile con gli umili, povero con i poveri. Era un frate tra i frati, tra i minori il più piccolo e, per quanto gli era consentito, si ingegnava a diportarsi sempre come uno di loro nella sua vita e nei suoi costumi. Era sollecito di dilatare ovunque l'Ordine minoritico e, d'altra parte, la fama della sua vita santa contribuiva a diffonderlo maggiormente anche nelle regioni più lontane. Il Signore gli aveva donato sapienza ed eloquenza, ed egli se ne serviva per confutare e confondere i nemici della verità e della Croce di Cristo, ricondurre gli erranti sulla retta via, ricomporre le liti e rinsaldare il vincolo della carità tra i fratelli. Era nella Chiesa di Dio lampada che arde e illumina, saetta scelta, tenuta in serbo per il momento opportuno. Quante volte, deposte le ricche vesti e indossatene altre rozze, lo si vedeva andarsene a piedi scalzi come un frate minore, per portare la pace. Ogni volta che gli si presentava l'occasione, si adoperava con ardore a ristabilire questa pace tra l'uomo e il prossimo e tra l'uomo e Dio. Per questo il Signore lo scelse poco tempo dopo come Pastore di tutta la sua santa Chiesa, conferendogli autorità e potenza su tutti i popoli.
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100. Perché si riconoscesse che questo avvenne per divina ispirazione e volontà di Cristo, il beato padre Francesco lo profetizzò con le parole e lo significò con i fatti molto tempo prima. Quando infatti l'Ordine e religione dei frati incominciava, sostenuto dalla grazia di Dio, a dilatarsi, a innalzare nel cielo, come cedro del Signore, la cima dei suoi meriti, e ad estendere, come vigna eletta, i suoi santi tralci su tutta la terra, il beato Francesco si recò da papa Onorio III, capo della Chiesa romana in quegli anni, supplicandolo umilmente di concedere a lui e ai suoi frati in qualità di padre e signore, Ugolino, vescovo di Ostia. Il Pontefice esaudì la richiesta del Santo, e ben volentieri delegò la sua giurisdizione sull'Ordine a Ugolino. Questi la ricevette con umile riverenza e, come il servo fedele e prudente costituito sopra la casa del Signore, si impegnò in tutti i modi ad assicurare il cibo della vita a tutti coloro che erano stati affidati alle sue cure.
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Perciò il beato padre, da parte sua, si studiava di essergli sempre docile e lo venerava con amore e devozione. Poiché si lasciava condurre dallo Spirito di Dio, di cui era ricolmo, il beato Francesco intuiva molto tempo prima ciò che poi si sarebbe realizzato agli occhi di tutti. Ecco perché quando gli scriveva per cose relative all'Ordine di cui condividevano la responsabilità, o più spesso per l'amore che gli portava in Cristo, nelle sue lettere non si limitava mai a chiamarlo Vescovo di Ostia e di Velletri, come usavano gli altri nei saluti di convenienza, ma, non senza ragione, lo salutava: "Ugolino, vescovo di tutto il mondo!". Spesso poi lo salutava con benedizioni mai udite prima e benché gli fosse sottomesso come figlio deferente, talvolta, per ispirazione celeste, lo consolava con fare paterno, quasi a rafforzare su di lui le benedizioni dei padri, fino alla venuta di colui che è il desiderio dei colli eterni(Gen 49,26).
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101. Il cardinale Ugolino, a sua volta, nutriva profondo affetto per il Santo; gradiva quindi ogni sua parola e atto, anzi spesso si rasserenava tutto al solo vederlo. Egli stesso afferma di non aver mai avuto turbamenti d'animo per quanto grandi, che la vista e le parole di Francesco non bastassero ad eliminare, disperdendo le nubi dello spirito ed ogni tristezza, e riportandovi la serenità e la gioia. Si diportava con Francesco come il servo rispetto al suo padrone; lo ossequiava come un apostolo di Cristo, e sovente, inchinandosi, lo riveriva, baciandogli le mani
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Con devozione e sollecitudine si preoccupava di trovare un rimedio per far ricuperare al beato padre la sanità degli occhi, perché lo riteneva un uomo santo e giusto e necessario e molto utile alla Chiesa di Dio. Condivideva il timore e la preoccupazione di tutta la famiglia dei frati per lui, e nella persona del Padre aveva pietà dei figli. Perciò esortava il beato padre, a prendersi cura di sé e a non ricusare i mezzi necessari, ricordandogli che questa trascuratezza gli poteva essere imputata a peccato piuttosto che a merito.
In spirito di umile obbedienza a questi autorevoli ammonimenti, san Francesco decise di avere con meno scrupolo un po' di riguardo per il suo male. Ma era ormai troppo tardi. Il male si era tanto aggravato, che per ricavarne anche solo un piccolo beneficio si richiedevano somma perizia medica e strazianti rimedi. Difatti, gli si bruciarono con ferri roventi le parti del capo credute lese, si incisero delle vene, si applicarono impiastri, si iniettarono collirii ma senza alcun miglioramento; anzi, l'infermità parve peggiorare sempre più.
CAPITOLO VI
VIRTÙ DEI FRATI
CHE SERVIVANO SAN FRANCESCO.
QUAL ERA IL SUO PROGETTO Dl VITA
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102. Il Santo sopportò tutte queste infermità per quasi due anni, con ogni pazienza e umiltà, in tutto rendendo grazie a Dio. Ma per poter attendere con maggior libertà e devozione a Dio, e percorrere le celesti dimore nelle frequenti estasi e potersi finalmente collocare in cielo davanti al dolcissimo e serenissimo Signore dell'universo, ben provvisto di meriti, affidò la cura della sua persona ad alcuni frati, veramente degni della sua predilezione
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Erano uomini assai virtuosi, devoti a Dio, cari ai santi del cielo e amati dagli uomini sulla terra, e su di essi il beato Francesco si appoggiava come casa su quattro colonne. Ne ometto i nomi per riguardo alla loro modestia, virtù che, da veri religiosi, amano molto cordialmente. La modestia infatti è il decoro di tutte le età, testimone di innocenza, indizio d'un cuore puro, verga di disciplina, gloria particolare della coscienza, garanzia della buona riputazione, pregio e coronamento della perfetta rettitudine. Questa virtù era loro comune e li rendeva graditi e amabili a tutti.
Ciascuno poi aveva una virtù propria: il primo era particolarmente discreto, il secondo mirabilmente paziente, il terzo di encomiabile semplicità, l'ultimo era robusto di corpo e mite di animo. Essi con ogni diligenza, cura e buona volontà difendevano il raccoglimento spirituale del beato padre, curavano la sua malattia senza risparmiarsi pene e fatiche, felici di dedicarsi totalmente al servizio di lui.
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103. Francesco, sebbene già fosse arricchito di ogni grazia davanti a Dio e risplendesse per le sue sante opere davanti agli uomini, pensava di intraprendere un cammino di più alta perfezione, e suscitare nuove guerre affrontando direttamente da valorosissimo soldato il nemico. Si proponeva, sotto la guida di Cristo, di compiere opere ancora più grandi, e sperava proprio, mentre le sue energie fisiche andavano esaurendosi rapidamente di giorno in giorno, di riportare nel nuovo attacco un pieno trionfo. Il vero coraggio infatti non conosce limiti di tempo, dal momento che aspettava una ricompensa eterna. Perciò bramava ardentemente ritornare alle umili origini del suo itinerario di vita evangelica e, allietato di nuova speranza per la immensità dell'amore, progettava di ricondurre quel suo corpo stremato di forze alla primitiva obbedienza dello spirito. Perciò allontanava da sé tutte le cure e lo strepito delle considerazioni umane che gli potevano essere di ostacolo, e pur dovendo, a causa della malattia, temperare necessariamente l'antico rigore, diceva: "Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto!". Non lo sfiorava neppure il pensiero di aver conquistato il traguardo e, perseverando instancabile nel proposito di un santo rinnovamento, sperava sempre di poter ricominciare daccapo. Voleva rimettersi al servizio dei lebbrosi ed essere vilipeso, come un tempo; si proponeva di evitare la compagnia degli uomini e rifugiarsi negli eremi più lontani, affinché, spogliato di ogni cura e deposta ogni sollecitudine per gli altri, non ci fosse tra lui e Dio che il solo schermo della carne.
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104. Vedeva molti avidi di onori e di cariche, e detestandone la temerità, cercava di ritrarli da questa peste con il suo esempio. Diceva infatti che è cosa buona e accetta a Dio assumersi il governo degli altri, ma sosteneva che dovevano addossarsi la cura delle anime solo quelli che in quell'ufficio non cercano nulla per sé, ma guardano sempre in tutto al volere divino; coloro cioè che niente antepongono alla propria salute spirituale e non cercano l'applauso dei sudditi ma il loro profitto, non la stima degli uomini, ma unicamente la gloria di Dio; coloro che non aspirano alla prelatura, ma la temono, e se viene loro data non montano in superbia ma si sentono più umili e, quando viene loro revocata, non si avviliscono ma ne godono. Diceva ancora che soprattutto in un'epoca di malvagità e di iniquità come questa, c'è grave pericolo nella prelatura e maggior vantaggio nell'essere governati. Provava grande amarezza nel vedere che alcuni, abbandonato quello che avevano così bene incominciato, dimenticavano la semplicità antica per seguire nuovi indirizzi. Perciò si lamentava di alcuni, che un tempo erano tutti intenti a mete più elevate ed ora si erano abbassati a cose vili e futili, abbandonati i veri gaudi dell'anima, si affannavano a rincorrere frivolezze e realtà prive d'ogni valore nel campo di una malintesa libertà. Per questo implorava la divina clemenza per la liberazione dei suoi figli e la scongiurava con la devozione più grande perché li conservasse fedeli alla loro vocazione.
CAPITOLO VII
RITORNO Dl FRANCESCO DA SIENA AD ASSISI.
LA CHIESA Dl SANTA MARIA DELLA PORZIUNCOLA
E LA BENEDIZIONE AI FRATI
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105. Sei mesi prima della sua morte, dimorando a Siena per la cura degli occhi, cominciò ad ammalarsi gravemente per tutto il corpo. A seguito di una rottura dei vasi sanguigni dello stomaco, a causa della disfunzione del fegato, ebbe abbondanti sbocchi di sangue, tanto da far temere imminente la fine. Frate Elia, a quella notizia, accorse in fretta da lontano e, al suo arrivo, Francesco migliorò al punto che poté lasciare Siena e recarsi con lui alle Celle presso Cortona. Ma dopo pochi giorni dall'arrivo, il male riprese il sopravvento: gli si gonfiò il ventre, si inturgidirono gambe e piedi, e lo stomaco peggiorò talmente che gli riusciva quasi impossibile ritenere qualsiasi cibo. Chiese allora a frate Elia il favore di farlo riportare ad Assisi. Da buon figliuolo questi eseguì la richiesta del caro padre prendendo tutte le precauzioni necessarie, anzi ve lo accompagnò personalmente. L'intera città esultò alla venuta del Santo e tutti ne lodavano Iddio, poiché tutto il popolo sperava che il Santo finisse i suoi giorni tra le mura della sua città, e questo era il motivo di tale esultanza.
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106. E, certamente per divino volere, avvenne che quell'anima santa, liberata dall'involucro corporale, volasse al cielo proprio nel luogo in cui, mentre era nel corpo, aveva ricevuto la prima rivelazione delle verità soprannaturali ed aveva capito la divina chiamata. Sapeva certamente che il Regno di Dio è in ogni parte della terra e credeva veramente che ovunque i fedeli possono ricevere i suoi doni; ma l'esperienza gli aveva insegnato che quel luogo che conteneva la chiesetta di Santa Maria della Porziuncola era favorito e onorato da grazie celesti più abbondanti e da frequenti visite di spiriti angelici. Pertanto diceva spesso ai frati: "Guardatevi, figli miei, dal non abbandonare mai questo luogo. Se ne foste scacciati da una parte, rientratevi dall'altra, perché questo luogo è veramente santo e abitazione di Dio. Qui, quando eravamo pochi, l'Altissimo ci ha moltiplicati qui ha illuminato con la sua sapienza i cuori dei suoi poverelli; qui ha acceso il fuoco del suo amore nelle nostre volontà. Qui, chi pregherà con devozione, otterrà ciò che avrà chiesto, e chi lo profanerà sarà maggiormente punito. Perciò, figli, stimate degno di ogni onore questo luogo, dimora di Dio, e con tutto il vostro cuore, con voce esultante qui inneggiate al Signore".
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107. Intanto le sue condizioni si aggravavano sempre i più, tutte le forze lo abbandonavano, e Francesco fu costretto all'immobilità. Eppure, quando un frate gli domandò un giorno se preferisse sopportare quella sofferenza grave e incessante o il martirio del carnefice, rispose: "O figlio, e sempre stato ed è per me più caro e dolce e gradito ciò che al Signore mio Dio più piace avvenga in me, e alla sua volontà soltanto voglio costantemente e in tutto trovarmi concorde, obbediente e docile. Ma se dovessi fare un paragone, dovrei dire che sopportare anche solo per tre giorni questa malattia mi sarebbe più doloroso di qualsiasi martirio; non parlo, evidentemente, in riferimento al premio ma solo alla molestia che questa forma di passione arreca ". O uomo due volte martire, che amorosamente e sorridendo di gioia sopportava quello che per gli altri tutti era troppo spaventoso e doloroso a vedersi! Non c'era in lui ormai membro alcuno che non fosse straziato da un solo dolore, e il calore vitale l'abbandonava sempre più, preludio della fine imminente. Medici e frati non riuscivano a capacitarsi come potesse il suo spirito continuare a vivere in una carne ormai morta e tanto consunta che non possedeva più se non la pelle aderente alle ossa.
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108. Quando sentì che stava per giungere il momento della sua partenza da questa terra,--come gli era stato anche indicato da una rivelazione divina due anni prima,-- convocati attorno a sé i suoi frati che desiderava rivedere, impartì a ciascuno la benedizione, conforme a quanto gli veniva indicato dal cielo, come un tempo il patriarca Giacobbe benedisse i suoi figli, o meglio ancora come un altro Mosé, che accingendosi a salire sul Sinai mostratogli da Dio, elargì copiose benedizioni al popolo d'Israele.
506
Alla sua sinistra stava frate Elia e tutti attorno gli altri suoi figli. Egli allora incrociò le braccia per porre la destre sul capo di frate Elia ed, essendo cieco, domandò: " Su chi tengo la mia mano? ". "Su frate Elia ", gli risposero. "Così voglio anch'io", disse, e aggiunse: "Ti benedico, o figlio, in tutto e per tutto; e come l'Altissimo, sotto la tua direzione, rese numerosi i miei fratelli e figlioli, così su te e in te li benedico tutti. In cielo e in terra ti benedica Iddio, Re di tutte le cose. Ti benedico come posso e più di quanto è in mio potere, e quello che non posso fare io, lo faccia in te Colui che tutto può. Si ricordi Dio del tuo lavoro e della tua opera e ti riservi la tua mercede nel giorno della retribuzione dei giusti. Che tu possa trovare qualunque benedizione desideri e sia esaudita qualsiasi tua giusta domanda". "Addio figli miei tutti, vivete nel timore di Dio e rimanete in Lui sempre, perché sta per sopraggiungere su di voi una prova e tribolazione assai grande e paurosa. Beati quelli che persevereranno nelle sante opere intraprese; non pochi purtroppo si separeranno da loro a causa degli scandali. Quanto a me mi affretto verso il Signore; ho fiducia di giungere al mio Dio cui ho servito devotamente nel mio spirito ".
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Dimorava allora il Santo nel palazzo del vescovo di Assisi, e pregò i frati di trasportarlo in fretta a Santa Maria della Porziuncola, volendo rendere l'anima a Dio là dove, come abbiamo detto, per la prima volta aveva conosciuto chiaramente la via della verità.
CAPITOLO VIII
ULTIME PAROLE E ATTI
PRIMA DELLA MORTE
508
109. Erano ormai trascorsi vent'anni dalla sua conversione e, come gli era stato comunicato per divina rivelazione, la sua ultima ora stava per scadere. Era avvenuto così. Mentre il beato Francesco e frate Elia dimoravano insieme a Foligno, una notte apparve in sogno a frate Elia un sacerdote bianco-vestito, di aspetto grave e venerando, che gli disse: "Va, fratello, e avverti Francesco che, essendosi compiuti diciott'anni da quando rinunciò al mondo per seguire Cristo, gli rimangono solo due anni e poi il Signore lo chiamerà a sé nell'altra vita ".
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Così dunque stava per compiersi esattamente quanto la parola di Dio aveva annunciato due anni prima. Da pochi giorni riposava in quel luogo tanto bramato, e sentendo che l'ora della morte era ormai imminente, chiamò a sé due suoi frati e figli prediletti, perché a piena voce cantassero le Lodi al Signore con animo gioioso per l'approssimarsi della morte, anzi della vera vita. Egli poi, come poté intonò il salmo di David: Con la mia voce al Signore grido aiuto, con la mia voce supplico il Signore (Sal 141,1).
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Uno dei frati che lo assistevano, molto caro al Santo e molto sollecito di tutti i frati, vedendo questo e conoscendo che la fine era vicina, gli disse: "Padre amato, già i tuoi figli stanno per rimanere orfani e privi della luce dei loro occhi! Ricordati dei figli che lasci orfani, perdona tutte le loro colpe e dona ai presenti e agli assenti il conforto della tua benedizione". E Francesco: " Ecco, Dio mi chiama, figlio. Ai miei frati presenti e assenti, perdono tutte le offese e i peccati e tutti li assolvo, per quanto posso, e tu, annunciando questo, benedicili da parte mia ".
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110. Poi si fece portare il libro dei Vangeli, pregando che gli fosse letto il brano del Vangelo secondo Giovanni, che inizia con le parole: Sei giorni prima della Pasqua, sapendo Gesù ch'era giunta l'ora di passare da questo mondo al Padre(Gv 12,1; 13,1). Questo stesso passo si era proposto di leggergli il ministro, ancora prima di averne l'ordine, e lo stesso si presentò alla prima apertura del libro, sebbene quel volume contenesse tutta intera la Bibbia.
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E dato che presto sarebbe diventato terra e cenere, volle che gli si mettesse indosso il cilicio e venisse cosparso di cenere. E mentre molti frati, di cui era padre e guida, stavano ivi raccolti con riverenza e attendevano il beato "transito" e la benedetta fine, quell'anima santissima si sciolse dalla carne, per salire nell'eterna luce, e il corpo s'addormentò nel Signore.
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Uno dei suoi frati e discepoli, molto celebre, del quale non dico il nome, perché essendo tuttora vivente non vuole trarre gloria da un sì grande privilegio, vide l'anima del santissimo padre salire dritta al cielo al di sopra di molte acque; ed era come una stella, grande come la luna, splendente come il sole e trasportata da una candida nuvoletta.
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111. Mi si lasci, dunque, esclamare così: "Quanto glorioso è questo Santo, di cui un discepolo contemplò l'anima ascendere in cielo. Bella come la luna, splendente come il sole (Ct 6,9), mentre ascendeva raggiava di gloria in mezzo ad una nube candida. O vera luce del mondo, che rifulgi più del sole nella Chiesa di Cristo, già ci hai nascosto i tuoi raggi e, ritirandoti nella splendida patria celeste, hai scambiato la nostra compagnia di miseri mortali con quella degli angeli e dei beati! O insigne specchio della nostra religione, non deporre con la tua carne mortale la cura dei tuoi figli. Tu sai bene in quali pericoli li hai lasciati, ora che nelle innumerevoli fatiche e nelle frequenti prove non ci sei più tu che con la tua benevola presenza in ogni momento li confortavi e li rianimavi. O padre santissimo, veramente misericordioso, sempre pronto alla compassione e al perdono per i tuoi figli erranti! Ti benediciamo, dunque, padre amoroso, unendo la nostra alla benedizione dell'Altissimo, il quale è sempre Dio benedetto su tutte le cose. Amen.
CAPITOLO IX
PIANTO E GAUDIO DEI FRATI, CHE AMMIRANO IN LUI,
I SEGNI DELLA CROCIFISSIONE.
LE ALI DEL SERAFINO
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112. Ed ecco, la gente accorre in massa, e glorifica Dio, dicendo: "Lodato e benedetto sii tu, Signore, nostro Dio, che a noi indegni hai affidato questo prezioso deposito. Lode e gloria a Te, Trinità ineffabile!". A frotte accorre tutto il popolo d'Assisi e dei dintorni, per vedere i prodigi divini, che il Signore di maestà aveva manifestato nel santo suo servo. Ciascuno innalzava un inno di giubilo, come il cuore gli dettava, tutti poi benedicevano l'onnipotenza del Salvatore, che aveva esaudito il loro desiderio. Ma i figli si dolevano d'essere stati privati di un tale padre e sfogavano il loro dolore con lacrime e sospiri .
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Pure, una gioia misteriosa temperava la loro mestizia e la novità del miracolo riempiva le loro menti di straordinario stupore. Così il lutto si cambiò in cantico e il pianto in giubilo. Infatti mai avevano udito né letto quello che ora vedevano con i loro occhi, e a stento ci avrebbero creduto se non ne avessero avuto davanti una prova così evidente. Veramente in Francesco appariva l'immagine della croce e della Passione dell'Agnello immacolato (1Pt 1,19) che lavò i peccati del mondo: sembrava appena deposto dal patibolo, con le mani e i piedi trafitti dai chiodi e il lato destro ferito dalla lancia (Gv 19,34). Vedevano ancora la sua carne, che prima era bruna, risplendere ora di un bel candore, una bellezza sovrumana, che comprovava in lui il premio della beata resurrezione. Ammiravano infine il suo volto simile a quello di un angelo (At 6,15), quasi fosse vivo e non morto, e le altre sue membra divenute morbide e flessibili come quelle di un bimbo. Niente contrazione dei nervi, indurimento della pelle, irrigidimento del corpo, come suole accadere per chi è morto, ma la stessa mobilità di movimenti degli esseri viventi!
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113. Mentre risplendeva davanti a tutti per sì meravigliosa bellezza e la sua carne si faceva sempre più diafana, era meraviglioso scorgere al centro delle mani e dei piedi, non i fori dei chiodi, ma i chiodi medesimi formati di carne dal color del ferro e il costato imporporato dal sangue. E quelle stimmate di martirio non incutevano timore a nessuno, bensì conferivano decoro e ornamento, come pietruzze nere in un pavimento candido.
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I suoi frati e figli accorrevano solleciti e piangendo baciavano le mani e i piedi del padre amoroso che li aveva lasciati, ed anche quel lato destro sanguinante, ricordo di Colui che versando sangue e acqua dal suo petto aveva riconciliato il mondo (Gv 19,34; Rm 5,10) con il Padre. Ognuno dei fedeli stimava grandissimo privilegio se riusciva, non dico a baciare ma anche solo a vedere le sacre stimmate di Cristo che Francesco portava impresse nel suo corpo (Cfr Gal 6,17). Chi a tal vista non avrebbe gioito più che pianto, versato lacrime di gaudio piuttosto che di tristezza? Qual cuore di ferro o di pietra avrebbe resistito all'emozione, non si sarebbe aperto all'amore di Dio, non si sarebbe munito di buona volontà? Chi poteva essere così insensibile o cieco da non comprendere in maniera lampante che quel Santo, che era insignito sulla terra di così eccezionale grazia divina, doveva essere pure in cielo contrassegnato da indicibile gloria?
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114. O dono davvero speciale e testimonianza di predilezione, che il soldato sia onorato con quelle stesse armi gloriose che si addicono al solo re! O prodigio degno di memoria eterna, o sacramento meraviglioso, degno di perenne e devoto rispetto, poiché esso rappresenta in maniera visibile alla nostra fede l'ineffabile mistero per il quale il sangue dell'Agnello immacolato, sgorgando a fiotti da cinque ferite, lavò i peccati del mondo! O eccelso splendore di quella croce che è fonte di vita e dà la vita ai morti e il suo peso preme così soavemente e punge con tale dolcezza che in essa la carne morta rivive e lo spirito infermo si ristora! Quanto ti ha amato Francesco, se tu l'hai così mirabilmente decorato! Sia benedetto e glorificato Dio, unico e sapiente, che rinnova i suoi miracoli per confortare i deboli e mediante le meraviglie visibili conquistarne gli animi all'amore di quelle invisibili! O meravigliosa e amorosa disposizione divina, che per fugare ogni dubbio sulla novità del prodigio, ha compiuto prima con infinita misericordia in Colui che venne dal cielo quello che poi avrebbe realizzato nell'uomo della terra! E veramente il padre della misericordia (2Cor 1,3) ha voluto mostrare di qual premio sia degno colui che si sarà impegnato ad amarlo con tutto il cuore: essere cioè accolto tra le schiere più elette e vicine a Dio, quelle degli angeli.
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Quel premio anche noi, senza alcun dubbio, potremo raggiungerlo se, come il Serafino, terremo due ali diritte sopra il capo (Ez 1,23), se cioè, sull'esempio del beato Francesco, conserveremo in ogni opera buona purezza d'intenzione e rettitudine d'azione, così da rivolgerle a Dio, impegnandoci senza stanchezza a seguire in tutto il suo volere. É necessario che queste ali siano congiunte, coprendo il capo(Ez 1,23), poiché il Padre dei lumi non gradirebbe l'opera buona, se non fosse unita alla purità d'intenzione. Ha detto infatti il Signore: Se il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà illuminato, ma se il tuo occhio è torbido, il tuo corpo sarà nelle tenebre(Mt 6,23). Occhio semplice poi non è quello che non vede ciò che va visto, per mancanza di conoscenza della virtù, e neppure quello che vede ciò che non va veduto, perché non ha intenzione pura. É chiaro infatti che nel primo caso non sarebbe semplice, ma cieco, e nel secondo è malvagio. E le penne di queste ali indicano l'amore di Dio Padre misericordioso che salva e il timore di Cristo, giusto giudice; due disposizioni queste che devono staccare le anime degli eletti dalle cose terrene, reprimendo le cattive tendenze e suscitando casti sentimenti. Il secondo paio di ali simboleggia il duplice precetto della carità verso il prossimo: confortare l'anima con la parola di Dio e aiutare il corpo con i mezzi materiali. Difficilmente esse si congiungono, perché assai di rado un'unica persona può attendere ai due compiti; le loro penne rappresentano le diverse opere per svolgere la funzione di consiglio e soccorso al prossimo. Le ultime due ali devono coprire il corpo ogni volta che questo, denudato a causa del peccato, viene di nuovo rivestito dell'innocenza mediante il pentimento e la confessione. Le loro penne raffigurano tutti i buoni affetti e desideri suscitati nell'anima dalla detestazione delle colpe e dal desiderio di giustizia.
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115. Tutto questo realizzò a perfezione il beato padre Francesco, che ebbe figura e forma di Serafino e, perseverando a vivere crocifisso, meritò di volare all'altezza degli spiriti celesti. E veramente non si staccò mai dalla croce, perché non si sottrasse mai a nessuna fatica e sofferenza, pur di realizzare in sé e di sé la volontà del Signore.
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I frati che vissero con lui, inoltre sanno molto bene come ogni giorno, anzi ogni momento affiorasse sulle sue labbra il ricordo di Cristo; con quanta soavità e dolcezza gli parlava, con quale tenero amore discorreva con Lui. La bocca parlava per l'abbondanza dei santi affetti del cuore, e quella sorgente di illuminato amore che lo riempiva dentro, traboccava anche di fuori. Era davvero molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra. Quante volte, mentre sedeva a pranzo, sentendo o pronunciando lui il nome di Gesù, dimenticava il cibo temporale e, come si legge di un santo, "guardando, non vedeva e ascoltando non udiva". C'è di più, molte volte, trovandosi in viaggio e meditando o cantando Gesù, scordava di essere in viaggio e si fermava a invitare tutte le creature alla lode di Gesù. Proprio perché portava e conservava sempre nel cuore con mirabile amore Gesù Cristo, e questo crocifisso, perciò fu insignito gloriosamente più di ogni altro della immagine di Lui, che egli aveva la grazia di contemplare, durante l'estasi, nella gloria indicibile e incomprensibile seduto alla "destra del Padre", con il quale l'egualmente altissimo Figlio dell'Altissimo, assieme con lo Spirito Santo vive e regna, vince e impera, Dio eternamente glorioso, per tutti i secoli. Amen!
CAPITOLO X
IL PIANTO DELLE POVERE DAME Dl SAN DAMIANO
E LA GLORIOSA SEPOLTURA Dl FRANCESCO
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116. I suoi frati e figli insieme alle folle accorse dai paesi vicini per avere la gioia di partecipare ai solenni funerali, passarono l'intera notte in cui Francesco morì, pregando e salmodiando; ed era tale la dolcezza dei canti e lo splendore delle luci da far pensare ad una veglia di angeli.
All'indomani all'alba arrivarono i cittadini di Assisi con tutto il clero e, prelevando il sacro corpo, lo trasportarono onorevolmente in città tra inni e canti e squilli di trombe. Celebrando insieme la solennità di quelle esequie, tutti si erano muniti di rami d'ulivo e di altri alberi e procedevano cantando a piena voce preghiere e lodi al Signore nello splendore di innumerevoli ceri. I figli portavano il loro Padre, il gregge seguiva il suo pastore, che li aveva preceduti incontro al Pastore universale.
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Quando giunsero al luogo dove egli aveva fondato l'Ordine religioso delle sacre vergini e Donne Povere, deposero il sacro corpo nella chiesa di San Damiano, dove dimoravano quelle sue figlie dilette ch'egli aveva conquistate al Signore e fu aperta la piccola grata attraverso la quale le ancelle di Cristo sogliono ricevere nei tempi stabiliti l'Eucarestia. Fu aperto anche il feretro, che conteneva quel tesoro di celesti virtù, portato ora da pochi, lui che era solito portare molti durante la sua vita . Ed ecco, donna Chiara, che era veramente chiara per ricchezza di meriti, prima madre di tutte le altre, perché era stata la prima pianticella di quella religiosa famiglia, viene con le figlie a vedere il Padre che più non parla con loro e non ritornerà più tra loro, perché se ne va altrove.
117. E guardandolo, piangendo e gemendo, con voce accorata, espressero così il loro cordoglio trepidante e devoto: "O Padre, che cosa faremo ora noi, misere? Perché ci abbandoni desolate? A chi ci affidi, così desolate? Perché non ci hai dato la gioia di precederti nel Regno dei beati e invece ci lasci qui nel dolore? Come potremo vivere nel nostro monastero, ora che più non verrai, come un tempo a visitarci? Con te se ne va per noi, sepolte al mondo, ogni nostro conforto! Chi ci soccorrerà in questa povertà di beni spirituali e materiali? O padre dei poveri, amante della povertà, chi ci aiuterà nelle tentazioni? Tu lo potevi, perché ne avevi provate e superate tante! Chi ci sosterrà nel momento delle tribolazioni, o tu che sei stato il nostro aiuto nelle molte tribolazioni che già sperimentammo? O amarissimo distacco, tremenda partenza; o morte inesorabile che uccidi migliaia di figli e di figlie, privandoli del loro santissimo padre, mentre ti affretti a strapparci per sempre colui per merito del quale il nostro buon volere, se pure ne abbiamo, raggiunse la sua migliore fioritura! ".
Ma il verginale pudore poneva un freno al pianto, né sembrava conveniente piangere a dirotto su colui, il cui transito aveva richiamato schiere di angeli e allietava tutti gli eletti del cielo! Così, sospese tra l'afflizione e la gioia insieme, baciavano quelle splendide mani, ornate dalle stimmate raggianti come gemme preziose. E dopo che ebbero rimosso il sacro corpo, fu richiusa quella porta che non s'aprirà mai più a sì grande ferita. O quanto più grande il dolore di tutti alla vista dell'accorato e filiale lamento di quelle vergini! Quanti, soprattutto, i gemiti dei figli in pianto! Tutti partecipavano al dolore di ognuno di loro, così che non c'era nessuno che riuscisse a trattenere le lacrime, al vedere quegli angeli di pace piangere così desolatamente.
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