(Vita breve di san Francesco)
DI SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO
Traduzione di
SIMPLICIANO OLGIATI
COMPOSTA da Bonaventura probabilmente a Parigi nel 1260/1262 contemporaneamente alla Leggenda
maggiore, questa Vita breve o Leggenda minore fu scritta per essere letta ad uso corale durante l'ottava
della festa di san Francesco (secondo l'uso del tempo), in sostituzione della precedente Leggenda corale che
Tommaso da Celano aveva ricavato, verso il 1230, dalla sua Vita prima. Siccome quest'ultima non
corrispondeva più all'immagine che del proprio fondatore l'Ordine francescano era venuto configurandosi,
nelI'occasione del Capitolo generale di Narbona del 1260 s'imposero anche alcuni ritocchi all'Ufficio ritmico
composto da Giuliano da Spira attorno al 1231/1232 e che, insieme con le letture corali, costituiva la solenne
ufficiatura del Santo (cfr. Introduzione, qui, pp. 355-358).
Questa Vita breve è sostanzialmente, e spesso anche verbalmente, un compendio della Leggenda
maggiore. Anche in così breve trattazione Bonaventura, come già nella sua opera maggiore, ( Leg. mag.,
Prologo, 3 ), non omette un particolare di carattere autobiografico: « Mia madre, quando io ero ancora
fanciullo, fece voto per me a san Francesco, perché ero malato gravemente... » (VIII, Lezione VIII).
Il nostro volgarizzamento è stato fatto sull'edizione critica curata dagli editori di Quaracchi (in AF, X,
pp. 653-678, ma si veda anche M. Bihl, ivi, pp. LXXI-LXXII, LXXVII-LXXVIII ) .
Data la sua natura di sintesi della Leggenda maggiore, per un'adeguata illustrazione delle sue
caratteristiche si rimanda a quanto è detto per quest'opera maggiore (cfr. Introduzione, qui, pp. 238-246),
alla quale si rinvia anche per le note esplicative.
Incomincia la
Vita breve del beato Francesco
I
LA CONVERSlONE
LEZIONE I
1330 La grazia di Dio, nostro salvatore, è apparsa in questi ultimi tempi, nel suo servo Francesco.
Il Padre della misericordia e della luce gli venne incontro con la dolcezza e l'abbondanza delle sue
benedizioni, come appare luminosamente dal corso della sua vita, e non soltanto dalle tenebre del mondo lo
attrasse alla luce, ma lo rese anche famoso per il dono singolare di virtù perfette e per i meriti.
Lo indicò, inoltre, come segno particolarmente luminoso per mezzo degli splendenti misteri della
Croce che dispiegò intorno a lui.
Nato nella città di Assisi, dalle parti della valle di Spoleto, egli dapprima fu chiamato Giovanni dalla
madre; poi, Francesco, dal padre: e certo egli tenne, quanto al suono, il nome imposto dal padre, ma,
quanto al significato, realizzò quello del nome imposto dalla madre.
Durante l'età giovanile fu allevato nelle vanità, in mezzo ai vani figli degli uomini, e, dopo
un'istruzione sommaria, venne destinato alla lucrosa attività del commercio: eppure, per l'assistenza e la
protezione divina, non seguì gli istinti sfrenati della carne, benché in mezzo a giovani licenziosi, e, benché in
mezzo a mercanti tesi al guadagno, non ripose la sua speranza nel danaro e nei tesori. LEZIONE II
1331 Dio, infatti, aveva immesso nel cuore del giovane Francesco, insieme con una dolce mansuetudine,
una particolare generosità e compassione verso i poveri.
Crescendo con lui fin dall'infanzia, questa aveva ricolmato il suo cuore di tanta bontà che egli si propose
di dare a chiunque gli chiedesse, specialmente se chiedeva per amore di Dio: non era più, ormai, uno che
ascoltasse il Vangelo da sordo.
Proprio nel fiore della giovinezza si legò al Signore con la ferma, solenne promessa di non dire mai di
no, se ne aveva la possibilità, a quanti gli chiedevano qualcosa per amore del Signore. Continuando ad
osservare così nobile promessa fino alla morte, incrementò in misura sempre più copiosa l'amore verso Dio e
la grazia.
Era sempre viva nel suo cuore questa fiammella dell'amor di Dio; ma egli, adolescente ancora e
involto nelle preoccupazioni terrene, non conosceva il mistero della chiamata celeste; finché scese su di lui la
mano del Signore ed egli fu purificato nel corpo da una malattia grave e lunga e fu illuminato nell'anima
dall'unzione dello Spirito Santo.
LEZIONE III
1332 Quando, in seguito, ebbe riaquistate, comunque, le forze del corpo e mutato in meglio lo spirito,
incontrò inaspettatamente un cavaliere, nobile di stirpe, ma povero di sostanze. Correndo col ricordo a
Cristo, re generoso e povero, si sentì spinto verso quell'uomo da una pietà così grande che depose i suoi
vestiti decorosi e appena acquistati e subito, spogliando se stesso, ne rivestì l'altro.
La notte successiva, mentre riposava, Colui per amore del quale aveva soccorso il cavaliere
bisognoso, si degnò di mostrargli con una rivelazione un palazzo magnifico e grandioso, in cui c'erano armi
da combattimento contraddistinte con il segno della croce e gli promise e garantì con sicurezza che tutto
quanto aveva visto sarebbe stato suo e dei suoi commilitoni, se avesse impugnato intrepidamente il vessillo
della Croce di Cristo.
Da allora egli si sottraeva al chiasso degli affari e del pubblico e cercava luoghi solitari, amici al
pianto; là, abbandonandosi a gemiti inesprimibili, dopo lunghe e insistenti preghiere, con le quali chiedeva al
Signore di indicargli la via della perfezione, meritò di essere esaudito, secondo i suoi desideri.
LEZIONE IV
1333 Difatti, uno di quei giorni, mentre pregava, così, tagliato fuori dal mondo, gli apparve Cristo Gesù, con
l'aspetto di uno confitto sulla croce e gli fece sentire, interiormente quella parola del Vangelo: Chi vuol venire
dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Quella parola fu tanto, efficace che,
all'interno dello spirito, lo infiammò con il fuoco dell'amore e lo riempì con l'amarezza della compassione E
mentre, guardando la visione sentiva sciogliersi l'anima, il ricordo della passione di Cristo si stampò
nell'intimo del suo cuore, fin nelle midolla. Tanto che, dentro di sé, vedeva quasi ininterrottamente, con gli
occhi dell'anima, le piaghe del Signore crocifisso e, al di fuori, riusciva a stento a trattenere le lacrime e i
sospiri.
E siccome, a confronto dell'amore di Cristo, ormai gli riuscivano spregevoli tutti i beni della sua casa
e li stimava come un nulla, sentiva di avere scoperto il tesoro nascosto e la splendente pietra preziosa.
Attratto dal desiderio di possederli, decideva di staccarsi da tutte le cose sue e di scambiare,
mercanteggiando secondo lo stile di Dio, gli affari del mondo con quelli del Vangelo.
LEZIONE V 1334 Una volta uscì nella campagna, a meditare. Mentre passava vicino alla chiesa di San Damiano, che
minacciava rovina per la eccessiva vecchiezza, si senti spinto dallo Spirito ed entrò a pregare. Prostratosi
davanti all'immagine del Crocifisso, durante la preghiera fu ricolmato da non poca dolcezza e consolazione. E
mentre, con gli occhi pieni di lacrime, fissava lo sguardo nella croce del Signore, udì con le orecchie del
corpo in modo mirabile una voce che proveniva dalla croce e che per tre volte gli disse: «Francesco, va,
ripara la mia casa, che, come vedi, va tutta in rovina>>.
Alla stupefacente esortazione di quella voce mirabile, l'uomo di Dio dapprima rimase atterrito; poi,
colmo di gioia e di ammirazione, prontamente si alzò, e si impegnò totalmente a compiere l'incarico di
riparare l'edificio esterno della chiesa: ma l'intenzione principale della Voce era diretta alla Chiesa, che Cristo
acquistò con lo scambio prezioso del suo sangue, come lo Spirito Santo gli avrebbe insegnato ed egli stesso
in seguito avrebbe rivelato ai suoi intimi.
LEZIONE VI
1335 Poco dopo, nella misura in cui poté, distribuì tutto quanto per amore di Cristo; offrì del denaro al
sacerdote poverello di quella chiesa, per la riparazione della medesima e per l'uso dei poveri e umilmente gli
chiese che gli permettesse di dimorare con lui per qualche tempo.
Il sacerdote accondiscese a farlo rimanere, ma ricusò il denaro per paura dei genitori di lui. Perciò
egli, ormai autentico spregiatore della ricchezza, scagliò su una finestra la borsa con l'oro, stimandolo merce
vile, polvere abbietta.
Sentendo, poi, che, a causa di questo, suo padre era infuriato contro di lui, per lasciar tempo all'ira,
si tenne nascosto per alcuni giorni in una fossa segreta, digiunando, pregando e piangendo. Finalmente,
ricolmato di singolare letizia spirituale e rivestito di potenza dall'alto, uscì fuori fiduciosamente ed entrò
animosamente in città. Vedendolo con il volto squallido e l'animo cambiato e, perciò, ritenendolo uscito di
senno, i ragazzi gli scagliavano contro «il fango delle piazze», come si fa contro un pazzo, e lo insultavano
con grandi schiamazzi: il servo del Signore, per nulla piegato o turbato da alcuna ingiuria, passava come
sordo in mezzo a tutti.
LEZIONE VII
1336 Suo padre, poi, più di tutti infuriato e fremente, quasi dimentico della pietà naturale, trascinò il figlio
a casa e cominciò a tormentarlo: lo percosse e lo mise in catene, al fine di riuscire, mentre ne spezzava il
corpo con le pene, a piegarne l'animo verso le attrattive del mondo.
Finalmente dovette costatare, per esperienza sicura, che il servo del Signore era prontissimo a
sopportare qualsiasi difficoltà per Cristo. Siccome vide molto chiaramente che non avrebbe potuto farlo
desistere, incominciò ad esercitare forti pressioni su di lui perché adisse insieme con lui il vescovo della città
e, nelle mani di lui, rinunziasse ad ogni diritto di eredità sulle sostanze paterne.
Il servo del Signore spontaneamente si offrì di eseguire questo progetto e, non appena giunse alla
presenza del presule, non soffri indugi, non temporeggiò su nulla, non pretese parole e non ne rese: anzi,
piuttosto, depose tutti quanti i vestiti, al punto che gettò via anche le mutande e, come ebbro di spirito, non
temette di denudarsi totalmente, per amore di Colui che per noi pendette nudo sulla Croce.
LEZIONE VIII
1337 Da allora, spregiatore del mondo, sciolto dalle catene delle bramosie terrestri, abbandonata la città,
sicuro e libero andava cantando in mezzo ai boschi lodi al Signore, in lingua francese. Imbattutosi nei
briganti, non ebbe paura, l'araldo del Gran Re, e non interruppe la laude: viandante seminudo e spoglio
d'ogni cosa, godeva della tribolazione, secondo lo stile degli apostoli.
Da allora, amante di tutta l'umiltà, si dedicò ad onorare i lebbrosi, per imparare, prima di insegnarlo,
il disprezzo di sé e del mondo, mentre si assoggettava alle persone miserabili e ripudiate, col giogo del
servizio.
E in verità, prima egli era abituato ad avere in orrore i lebbrosi più che ogni altra categoria di uomini,
ma quando l'effusione della grazia divenne in lui più copiosa egli si diede come schiavo ad ossequiarli con tanta umiltà di cuore che lavava i piedi e fasciava le piaghe e spremeva fuori la marcia e ripuliva la
purulenza.
Perfino, per eccesso di fervore inaudito, si precipitava a baciare le piaghe incancrenite: poneva, così,
la sua bocca nella polvere, saziandosi di obbrobri, per assoggettare con piena potestà l'arroganza della carne
alla legge dello spirito e, soggiogato il nemico di casa, ottenere in pacifico possesso il dominio di sé.
LEZIONE IX
1338 Fondato, ormai, nell'umiltà di Cristo e ricco di povertà, benché non possedesse proprio nulla, si diede
tuttavia a riparare la chiesa, secondo la missione a lui assegnata dalla croce, con tale slancio che
sottoponeva al peso delle pietre il corpo fiaccato dai digiuni e non aborriva dal richiedere l'aiuto
dell'elemosina anche a coloro con i quali aveva avuto l'abitudine di vivere da ricco.
Inoltre, aiutato dalla pietà dei fedeli, che già avevano incominciato a riconoscere nell'uomo di Dio una
virtù straordinaria, riparò non soltanto San Damiano, ma anche le chiese, cadenti e abbandonate, dedicate al
Principe degli apostoli e alla Vergine gloriosa.
In tale modo egli preannunciava misteriosamente, col simbolo dell'azione esterna e sensibile, quanto
il Signore si proponeva di realizzare per mezzo di lui negli spiriti.
Come, infatti, sotto la guida di quest'uomo santo furono riparati quei tre edifici, così doveva essere
riparata in maniera triforme la Chiesa di Cristo; secondo la forma, la Regola e la dottrina da lui date. Di
questo era stato un segno preannunciatore anche la voce venuta a lui dalla croce, che aveva replicato per
tre volte l'incarico di riparare la casa di Dio e questo noi ora costatiamo realizzato nei tre Ordini da lui
lstituiti.
II
FONDAZIONE DELL'ORDINE.
EFFICACIA NELLA PREDICAZIONE
LEZIONE I
1339 Così era ormai compiuto il restauro delle tre chiese. Mentre egli dimorava assiduamente in quella
dedicata alla Vergine, favorito dai meriti di Colei che profferse il prezzo della nostra salvezza, meritò di
scoprire la via della perfezione, mediante lo spirito della verità evangelica in lui divinamente infuso.
Un giorno, durante la celebrazione della Messa, si leggeva quel brano del Vangelo, nel quale i
discepoli vengono inviati a predicare e viene dettata ad essi la norma della vita evangelica: non possedete
oro né argento né rame nelle vostre cinture, non borsa da viaggio né due tuniche, né sandali, né bastone:
subito, a tali parole, lo investì e rivestì lo Spirito di Cristo con tale potenza che lo trasformò in quella norma
di vita, non solo in rapporto al modo di conoscere e di sentire, ma anche in rapporto al modo di vivere e di
vestire .
Immediatamente depose le calzature, gettò via il bastone, ripudiò borsa e denaro e, contento di una
sola tonacuccia, lasciò la cintura e come cingolo prese una fune e mise tutto lo slancio del cuore nel ricercare
in quale modo realizzare le cose sentite e rendere se stesso in tutto conforme alla regola della santità
apostolica.
LEZIONE II
1340 Finalmente, tutto acceso dalla forza fiammeggiante dello Spirito di Cristo, cominciò, come un altro
Elia, a farsi appassionato predicatore della verità; cominciò ad avviare alcuni alla giustizia perfetta; cominciò
ad avviare tutti gli altri a penitenza.
Non erano, i suoi, discorsi vani o degni di riso: erano pieni della forza dello Spirito Santo; erano tali
che penetravano nel profondo del cuore: suscitavano perciò, forte stupore negli ascoltatori e piegavano, con
la loro forza e la loro efficacia, la mente degli ostinati.
Siccome il suo proposito, sublime e santo, veniva a conoscenza di molti attraverso la semplice
veracità sia della sua dottrina sia della sua vita, alcuni incominciarono a sentirsi animati a penitenza dal suo esempio e a lasciare tutto per unirsi strettamente con lui, nell'abito e nella vita: I'umile uomo giudicò che si
chiamassero «frati minori».
LEZIONE III
1341 In seguito alla chiamata di Dio, il numero dei frati era ormai salito a sei. Il loro pio padre e pastore,
trovato un luogo solitario, in molta amarezza di cuore piangeva sulla sua vita di adolescente, trascorsa non
senza colpa: mentre chiedeva perdono e grazie, per sé e per la prole, che in Cristo aveva generato, si sentì
invadere da una singolare, esuberante letizia e si sentì garantire che tutte le colpe gli erano state rimesse
pienamente: fino all'ultimo quadrante.
Rapito, perciò, al di fuori di sé e totalmente assorbito in una luce vivificante, luminosamente vide gli
avvenimenti futuri che riguardavano lui e i suoi frati, come egli stesso, in seguito, rivelò familiarmente a
conforto del piccolo gregge, quando preannunciò che per la clemenza di Dio l'Ordine avrebbe progredito e si
sarebbe ampliato.
In pochi giorni alcuni altri si unirono a lui e raggiunsero il numero di dodici. Perciò il servitore del
Signore stabilì di presentarsi alla Sede Apostolica con quell'adunata di uomini semplici, per chiedere con
umiltà e insistenza alla stessa santissima Sede di confermare con la sua autorità plenaria la norma di vita che
il Signore antecedentemente gli aveva mostrata e che egli aveva anche scritta con brevi parole.
LEZIONE IV
1342 Egli, dunque, si affrettava per presentarsi, secondo quanto stabilito, al cospetto del Sommo Pontefice,
papa Innocenzo III. Ma lo prevenne, nella sua degnazione e clemenza, Cristo potenza e sapienza di Dio, che,
per mezzo di una visione, ammonì il suo Vicario a prestare ascolto con dolcezza e ad acconsentire con
benevolenza alle suppliche di quel poverello.
Difatti il Pontefice romano vide in sogno la Basilica Lateranense che stava ormai per crollare e un
uomo poverello, piccolo e spregevole, che la sorreggeva, mettendovi sotto le proprie spalle, perché non
cadesse.
Il saggio pontefice, pertanto, contemplando nel servitore di Dio la povertà, la costanza nel perseguire
la perfezione, lo zelo per le anime, I'infocato fervore di una volontà santa, esclamò: «Veramente questi è
colui che con l'opera e la dottrina sorreggerà la Chiesa di Cristo». Perciò, concependo da allora speciale
devozione verso di lui e inchinandosi in tutto alle sue richieste, approvò la Regola, conferì il mandato di
predicare la penitenza, concesse tutte le cose domandate e liberamente promise che di più ne avrebbe
concesso in seguito.
LEZIONE V
1343 Contando, da allora, sulla grazia che viene dall'alto e sull'autorità del Pontefice, Francesco affrontò con
molta fiducia il cammino verso la valle Spoletana, deciso a realizzare coi fatti e ad insegnare con la parola la
verità della perfezione evangelica, che aveva concepita nella mente e promessa in voto con la professione.
Mosse, inoltre, con i compagni la questione se dovevano vivere abitualmente in mezzo alla gente o
appartarsi nei luoghi solitari. Dopo aver indagato con l'insistenza della preghiera quale fosse il volere divino
su questo punto, fu illuminato dal responso di una rivelazione celeste e comprese che egli era stato inviato
da Dio a questo scopo: guadagnare a Cristo le anime, che il diavolo si sforza di rapire.
Stabilì, perciò, che bisognava scegliere di vivere per tutti, piuttosto che per sé solo.
Si raccolse con i frati in un tugurio abbandonato, vicino ad Assisi, per viverci con tutti i rigori della
vita religiosa, secondo la norma della santa povertà e predicare alle popolazioni la parola di Dio, secondo
l'opportunità del tempo e del luogo.
Divenuto, dunque araldo del Vangelo, si aggirava per città e paesi, annunciando il regno di Dio non
con il linguaggio dotto della sapienza umana, ma nella potenza dello Spirito Santo: il Signore dirigeva quel
parlatore con rivelazioni anticipatrici e confermava la sua parola con i prodigi che la accompagnavano.
LEZIONE VI
1344 Una volta, com'era suo costume, egli era intento a vegliare in preghiera, fisicamente lontano dai figli. Verso la mezzanotte, mentre alcuni dei frati dormivano, alcuni pregavano, un carro di fuoco di
mirabile splendore, sopra il quale era posto anche un globo di fuoco luminosissimo, in forma di sole, entrò
dalla porticina della dimora dei frati e per tre volte si volse in qua e in là per I 'abitazione.
A quella vista meravigliosa e preclara, rimasero stupefatti quelli che vegliavano; furono, insieme
destati e atterriti quelli che dormivano: e avvertirono con pari intensità la chiarezza del cuore e quella del
corpo, giacché, per virtù di quella luce mirabile, la coscienza di ciascuno fu nuda davanti alla coscienza di
tutti gli altri.
Compresero tutti concordemente, mentre tutti leggevano nel cuore di ciascuno, che il Signore aveva
fatto vedere loro il santo padre Francesco trasfigurato in quella immagine, per significare che egli era venuto
nello spirito e nella potenza di Elia ed era stato eletto principe della milizia spirituale, cocchio di Israele e suo
auriga.
E, appunto, il Santo, ritornato tra i frati, incominciò a fortificarli spiritualmente, sulla base della
visione mostrata loro dal cielo, cominciò a scrutare minutamente i segreti delle loro coscienze e a predire,
inoltre, il futuro e a risplendere con tali miracoli da mostrare chiaramente e palesemente come il duplice
spirito di Elia si era posato su di lui con la sua pienezza, così che incamminarsi dietro la sua dottrina e la sua
vita era per tutti la cosa più sicura.
LEZIONE VII
1345 Un religioso, di nome Morico, che apparteneva allora all'Ordine dei Crociferi, si trovava in un ospedale
vicino ad Assisi, colpito da una infermità così grave e così prolungata da farlo credere ormai prossimo a
morte.
Divenuto un supplicante per interposta persona, chiedeva insistentemente all'uomo di Dio di volere
intercedere presso Dio in suo favore.
Accondiscese benevolmente l'uomo pietoso e, dopo aver pregato, prese delle briciole di pane, le
mescolò con l'olio della lampada che ardeva davanti all'altare della Vergine e, per mano dei frati, fece
portare all'infermo quello speciale elettuario, dicendo: « Questa medicina, portatela al nostro fratello Morico:
per mezzo di essa la potenza di Cristo non soltanto gli ridonerà piena salute, ma lo farà diventare un robusto
combattente tra le nostre file, e ci resterà per sempre ».
Appena l'infermo ebbe assaggiato quell'antidoto, fabbricato per invenzione dello Spirito Santo, si alzò
sano e ottenne da Dio tanta vigoria di corpo e di spirito che di lì a poco entrò nella Religione del Santo, dove
per lungo tempo portò sulle carni la lorica e, contento al più di cibi crudi, non beveva vino e non mangiava
niente di cotto.
LEZIONE VIII
1346 Sempre in quel tempo, un sacerdote della città di Assisi, di nome Silvestro -- uomo di onorata
condotta e semplice come colomba--vide in sogno tutta quella contrada circondata da un dragone immenso:
sembrava che, a causa della sua schifosissima e orribile figura, la distruzione fosse ormai imminente su
diverse parti del mondo.
Vedeva, dopo questa immagine, uscir fuori dalla bocca di Francesco una croce d'oro e risplendente:
la sua punta toccava il cielo, mentre le braccia, protese per il largo, sembravano estendersi fino ai confini del
mondo. Quella apparizione fulgentissima metteva definitivamente in fuga il drago schifoso e orrendo.
Quando gli fu mostrato ciò per la terza volta, I'uomo pio e devoto a Dio comprese che Francesco era
destinato dal Signore a questa missione: brandire il vessillo glorioso della Croce per infrangere la potenza del
dragone maligno e illuminare i fedeli con le splendide luci della verità, contenuta nella sua vita e nella sua
dottrina.
Narrò la visione per ordine all'uomo di Dio e ai frati e, non molto tempo dopo, lasciò il mondo e si
mise sulle orme di Cristo, sull'esempio del beato padre, con tale perseveranza che, mediante la sua condotta
nell'Ordine, rese autentica la visione avuta nel secolo.
LEZIONE IX
1347 Un frate di nome Pacifico, quando ancora viveva da secolare, incontrò il servitore del Signore, che
stava predicando in un monastero vicino al Borgo di San Severino. Scesa la mano del Signore sopra di lui, vide Francesco segnato in forma di croce da due
splendentissime spade, poste trasversalmente: una delle spade si stendeva dalla testa fino ai piedi e una si
estendeva da una mano all'altra, attraverso il petto.
Egli non conosceva Francesco di persona, ma lo riconobbe subito, dopo che gli fu mostrato per
mezzo di quella visione miracolosa. Fortemente stupito, compunto ed atterrito dalla forza delle sue parole,
venne, per così dire, trafitto dalla spada dello spirito che usciva dalla sua bocca e, disprezzati definitivamente
gli onori vani del mondo, si unì al beato padre mediante la professione della sua stessa vita.
In seguito, costui progredì in ogni forma di santità propria della vita religiosa e divenne ministro
dell'Ordine in Francia--difatti fu il primo ad esercitare l'ufficio di ministro in quel paese. Ma, prima, meritò di
vedere sulla fronte di Francesco un grande Tau, che spiccava per la varietà dei colori e rendeva
meravigliosamente bella e adorna la sua faccia .
Poiché bisogna sapere che l'uomo di Dio venerava questo segno e gli era molto affezionato, lo
raccomandava spesso nel parlare, con esso dava inizio alle sue azioni e lo scriveva di propria mano sotto
quei bigliettini che inviava per motivo di carità, quasi che tutto il suo impegno fosse, come dice il profeta, nel
segnare il Tau sulla fronte degli uomini che gemono e piangono, convertendosi a Cristo sinceramente .
III
VIRTU' PRIVILEGIATE
LEZIONE I
1348 L'insigne seguace di Gesù Crocifisso, I'uomo di Dio Francesco, fin dagli inizi della sua conversione
crocifiggeva la carne e le sue passioni con il rigore della disciplina e frenava i moti dei sensi con la legge
della moderazione in maniera tanto severa che a stento prendeva il sostentamento indispensabile alla
natura.
Nei tempi in cui era sano, a fatica e di raro si permetteva vivande cotte e, quando se le permetteva,
qualche volta le rendeva amare col mescolarvi della cenere oppure, per lo più, le rendeva insipide col
versarci liquor d'acqua. Usò severa parchezza nel bere e tenne lontano il corpo dal vino, per poter applicare
la mente alla luce della sapienza. Siamo in grado di costatarlo con chiarezza da questo particolare: quando
era tormentato dall'arsura della sete, a stento osava bere a sufficienza perfino l'acqua fresca. Il più delle
volte era la nuda terra il letto per il corpicciuolo stanco; guanciale, una pietra; e coperta era un vestito
semplice, grinzoso ed ispido, giacché per esperienza sicura aveva imparato che i nemici maligni vengono
messi in fuga dalle vesti dure e ruvide, mentre da quelle delicate e molli vengono animati a tentare con
maggior baldanza.
LEZIONE II
1349 Rigoroso nella disciplina, vigilava assai attentamente su se stesso e aveva cura speciale nel custodire
quel tesoro inestimabile della castità, che noi portiamo nel fragile vaso del corpo: e anche il corpo egli si
studiava di tenere con rispetto e santità, mediante l'integerrima purezza di tutto se stesso, carne e spirito.
Per questo agli inizi della sua conversione, nel tempo del gelo invernale, forte e fervente nello spirito,
si immergeva per lo più in una fossa colma di ghiaccio o di neve, sia per rendersi perfettamente soggetto il
nemico di casa, sia per preservare dal fuoco della concupiscenza la veste candida della purezza.
Con pratiche di questa specie incominciò anche ad apparire, nell'uso dei sensi, adorno di un pudore
così luminoso e bello, che pareva aver conseguito ormai il pieno dominio della carne e stabilito con i suoi
occhi il patto non solo di rifuggire da ogni sguardo sensuale, ma di astenersi totalmente da qualsiasi sguardo
curioso o inutile.
LEZIONE III
1350 Eppure, anche se aveva conquistato la purità del cuore e del corpo e si stava in certo modo
avvicinando alla cima della santificazione, non cessava di purificare continuamente con là pioggia delle
lacrime gli occhi dello spirito: bramava la purezza delle chiarità celesti e non si preoccupava che gli occhi del
corpo si deteriorassero.
Infatti a causa del continuo piangere era incorso in una gravissima malattia di occhi. Il medico
cercava di persuaderlo ad astenersi dalle lacrime, se voleva sfuggire alla cecità; ma egli non accondiscese in
alcun modo, affermando che preferiva perdere la luce della vista corporale che frenare le lacrime e reprimere, così, la devozione dello spirito, poiché con le lacrime l'occhio interiore diventa mondo e riesce a
vedere Dio.
L'uomo a Dio devoto, pur in mezzo a quel fluire di lacrime, era sereno, per dir così, di una giocondità
celeste, sia nel cuore sia nel volto: il nitore della coscienza santa lo inondava di tanta letizia che il suo spirito
era di continuo rapito in Dio e sempre esultava per l'opera delle Sue mani.
LEZIONE IV
1351 L'umiltà, custode e ornamento di tutte le virtù, si era giuridicamente impadronita dell'uomo di Dio.
Difatti, benché egli risplendesse per il privilegio di molte virtù, sembrava tuttavia che l'umiltà avesse
conseguito un dominio particolare su di lui: minore di tutti i minori.
E certo secondo il criterio con cui lui stesso si giudicava, dichiarandosi il più grande peccatore, egli
era proprio e soltanto un piccolo e sudicio vaso di creta: in realtà, invece, era un vaso eletto di santità,
fulgido e adorno di molteplici virtù e di grazia, consacrato dalla purezza.
Si studiava di essere spregevole agli occhi propri ed altrui; di ripulire, confessandoli in pubblico, le
macchie in lui nascoste e di celare nel segreto del cuore i doni del Datore supremo: non voleva in alcun
modo che venisse rivelato, per averne gloria, quanto poteva essere occasione di rovina .
Piuttosto, per compiere ogni giustizia nella realizzazione dell'umiltà perfetta, si impegnò a rimanere
soggetto non solo ai superiori, ma anche agli inferiori, a tal punto che aveva l'abitudine di promettere
obbedienza anche al compagno di viaggio, fosse stato anche il più semplice. In questo modo egli non
comandava autoritariamente, alla maniera di un prelato; ma, alla maniera di un ministro e di un servo,
obbediva per umiltà anche ai sudditi.
LEZIONE V
1352 Perfetto seguace di Cristo, si studiò pure di prendersi in isposa con amore eterno la eccelsa povertà,
compagna della santa umiltà, e per essa non soltanto lasciò il padre e la madre, ma distribuì ai poveri tutto
quanto poté avere.
Nessuno fu tanto avido di oro quanto costui della povertà; nessuno, più preoccupato di custodire un
tesoro, quanto costui di custodire la pietra preziosa del Vangelo. Difatti, dai tempi della fondazione
dell'Ordine fino alla morte, lo si vide, ricco di tonaca, corda e mutande, gloriarsi della penuria e godere
dell'indigenza.
Se gli capitava d'incontrare qualcuno che, all'abito esterno, sembrava più povero di lui,
immediatamente rimproverava se stesso e si incitava ad essere come lui, come se, nella gara per la povertà,
temesse di essere vinto su questo punto, perché meno nobile di spirito.
A tutte le cose caduche aveva preferito la povertà, in quanto è pegno dell'eredità eterna, e riteneva
un niente le ricchezze ingannevoli: un feudo concesso per un momento amava la povertà a preferenza delle
grandi ricchezze e. in essa, desiderava superare tutti gli altri, lui che dalla povertà aveva imparato a ritenersi
inferiore a tutti.
LEZIONE VI
1353 Attraverso l'amore per l'altissima povertà, l'uomo di Dio divenne così florido e ricco di santa semplicità
che, pur non avendo assolutamente nulla di proprio tra le cose del mondo, sembrava il possessore di tutti i
beni, poiché possedeva l'Autore stesso di questo mondo. Infatti con l'acutezza della colomba, cioè con la
penetrazione che è propria della mente semplice, e con lo sguardo puro della riflessione, egli riportava tutte
le cose al Sommo Artefice e in tutte riconosceva, amava e lodava lo stesso Fattore. E così avveniva, per
dono della clemenza celeste, che egli possedeva tutte le cose in Dio e Dio in tutte le cose.
Inoltre, in considerazione della prima origine di tutte le cose, chiamava tutte le creature, per quanto
modeste, col nome di fratello e di sorella, considerando che, insieme con lui, provenivano da un unico
Principio. Abbracciava, però, più appassionatamente e con maggiore dolcezza quelle che per somiglianza
naturale rappresentano la pia mansuetudine di Cristo e la raffigurano per il significato loro attribuito dalla
Scrittura. A causa di questo, avveniva, per l'influsso della potenza soprannaturale, che gli animali si sentivano
attratti verso di lui come da un senso di pietà; ma anche gli esseri insensibili obbedivano al suo cenno, come
se quell'uomo santo, in quanto semplice e retto, fosse già stato ristabilito nello stato di innocenza.
LEZIONE VII
1354 La Fonte della Misericordia aveva riversato nel servo del Signore anche una dolce compassione, con
tale abbondanza e pienezza che egli, nel sollevare le miserie delle persone miserevoli, pareva portare in sé
un cuore di madre. Gli era connaturale anche la clemenza, che la pietà di Cristo, infusa dall'alto,
raddoppiava.
E così, per i malati e per i poveri, egli si sentiva struggere l'anima ed offriva l'affetto, quando non
poteva offrire la mano. Ciò, perché qualunque forma di penuria o di privazione scorgesse in qualcuno, con la
dolcezza del suo cuore pietoso la riferiva a Cristo.
In tutti quanti i poveri intravedeva il volto di Cristo e, perciò, se gli veniva dato qualcosa di
necessario per vivere, quando li incontrava non soltanto generosamente l'offriva a loro, ma giudicava pure
che a loro si doveva restituire, come se appunto a loro appartenesse.
Non la perdonava assolutamente a nulla: mantelli, tonache, libri e perfino la suppellettile dell'altare:
se appena lo poteva, tutto donava ai bisognosi a bramava anche di spendere tutto se stesso, per realizzare
appieno il dovere della pietà perfetta.
LEZIONE VIII
1355 Lo zelo per la salvezza dei fratelli, che si sprigionava dal fuoco della carità, trapassò come spada
affilata e fiammeggiante le intime fibre di Francesco, a tal punto che quest' uomo appariva tutto gelosia,
acceso da uno zelo bruciante, tormentato dalle pene della compassione.
Quando vedeva che le anime redente dal sangue prezioso di Cristo venivano insozzate dalla bruttura
del peccato, Si sentiva trapassato da un dolore straordinario e trafìggente; le compiangeva con una
commiserazione così tenera che ogni giorno le partoriva in Cristo, come una madre.
Da qui il suo accanimento nella preghiera, quel correre dovunque a predicare, quell'eccesso nel dare
l'esempio: perché non si riteneva amico di Cristo, se non curava teneramente le anime che egli ha redento.
Per questa ragione, benché l'innocente sua carne, che già si assoggettava spontaneamente allo
spirito, non avesse alcun bisogno di flagello, egli le moltiplicava i castighi e i pesi, in vista dell'esempio: in
vista degli altri obbligava se stesso a percorrere duri cammini, per seguire perfettamente le orme di Colui
che, per la salvezza degli altri, consegnò la sua vita alla morte.
LEZIONE IX
1356 Quanto, poi, al fervore della carità perfetta, da cui I'amico dello Sposo si sentiva trasportato in Dio,
ognuno può costatarlo da questo soprattutto: egli bramava ardentemente di immolarsi con la fiamma del
martirio, ostia viva, a Dio.
Tre volte, per tale cagione, egli intraprese il cammino verso i paesi degli infedeli; ma le prime due
volte ne fu impedito da disposizione divina. Finalmente la terza volta, dopo aver provato molti oltraggi,
catene, percosse e fatiche innumerevoli, con la guida di Dio venne condotto al cospetto del Soldano di
Babilonia: là predicò il Vangelo di Cristo, con una manifestazione così efficace di spirito e di potenza che lo
stesso Soldano ne fu ammirato e, diventato mansueto per divina disposizione, lo ascoltò con benevolenza.
In realtà, egli notò in lui fervore di spirito, costanza d'animo, disprezzo della vita presente, efficacia
nella Parola di Dio e concepì verso di lui tanta devozione che lo stimò degno di molto onore, gli offrì doni
preziosi e lo invitò insistentemente a prolungare il soggiorno presso di lui.
Ma quel vero spregiatore di se stesso e del mondo rifiutò come fango tutte le cose offerte e,
costatando che non poteva conseguire quanto si era proposto, dopo avere fatto schiettamente tutto ciò che
poteva fare per ottenerlo, tornò tra i paesi cristiani~ come una rivelazione gli aveva suggerito.
E così avvenne che l'amico di Cristo cercasse con tutte le forze di morire per Lui e non potesse
assolutamente riuscirvi. In tal modo, da una parte non gli mancò il merito del martirio desiderato, e,
dall'altra, venne risparmiato per essere, più tardi insignito di un privilegio singolare.
IV
DEDIZIONE ALLA PREGHIERA
E SPIRITO Dl PROFEZIA
LEZIONE I
1357 Il servo di Cristo, vivendo nel corpo, si sentiva in esilio dal Signore e, mentre al di fuori era divenuto
totalmente insensibile, per amor di Cristo, ai desideri della terra, si sforzava, pregando senza interruzione, di
mantenere lo spirito alla presenza di Dio, per non rimanere privo della consolazione del Diletto.
Camminando e sedendo, in casa e fuori, lavorando e riposando, con la forza della mente restava così
intento nella orazione da sembrare che avesse dedicato ad essa ogni parte di se stesso: non solo il cuore e il
corpo, ma anche l'azione e il tempo.
Molte volte veniva investito da tale eccesso di devozione che, rapito al di sopra di se stesso, e
oltrepassando i limiti della sensibilità umana, ignorava totalmente quanto avveniva al di fuori, intorno a lui.
LEZIONE II
1358 Per accogliere con maggior raccoglimento l'interiore elargizione delle consolazioni spirituali, si recava
nella solitudine e nelle chiese abbandonate, per pregarvi di notte, quantunque anche là provasse le orrende
battaglie dei demoni, che venivano a conflitto con lui, quasi con un contatto fisico, e si sforzavano di
stornarlo dall'impegno della preghiera.
Ma l'uomo di Dio li metteva in fuga con la potenza e l'instancabile fervore delle preghiere, e così se
ne restava solo e in pace.
Riempiva i boschi di gemiti, cospargeva quei luoghi di lacrime, si percuoteva il petto e, quasi
dall'intimità di un più segreto santuario, ora rispondeva al giudice, ora supplicava il Padre, ora scherzava con
lo Sposo, ora dialogava con l'amico.
Là fu visto, di notte, mentre pregava, con le mani e le braccia stese in forma di croce, sollevato da
terra con tutto il corpo e circondato da una nuvoletta rifulgente: così la meravigliosa luminosità e il sollevarsi
del corpo diventavano testimonianza della illuminazione e della elevazione avvenuta dentro il suo spirito.
LEZIONE III
1359 Indizi sicuri comprovano, inoltre, che durante queste elevazioni, per virtù soprannaturale, gli venivano
rivelate le cose incerte ed occulte della sapienza divina, anche se egli non le divulgava all'esterno, se non
nella misura in cui urgeva lo zelo della salvezza dei fratelli e dettava l'impulso della rivelazione dall'alto.
La dedizione instancabile alla preghiera, insieme con l'esercizio ininterrotto delle virtù, aveva fatto
pervenire l'uomo di Dio a così grande chiarezza di spirito che, pur non avendo acquisito la competenza nelle
Sacre Scritture mediante lo studio e l'erudizione umana, tuttavia, irradiato dai fulgori della luce eterna,
scrutava la profondità della Scrittura stessa con intelletto limpido e acuto.
Si posò su di lui anche lo spirito multiforme dei profeti con tale pienezza e varietà di grazie che, per
la potenza mirifica di quello spirito, egli si faceva vedere presente ai suoi frati assenti ed aveva notizia sicura
dei lontani.
Penetrava pure i segreti dei cuori, come pure preannunziava gli eventi del futuro.
Lo dimostrano con evidenza molti esempi e noi ne riporteremo qui alcuni.
LEZIONE IV
1360 Una volta quell'Antonio santo, che era allora predicatore egregio ed è ora, invece, luminoso
confessore di Cristo, stava predicando ai frati e commentava, con parole dolci come il miele, I'iscrizione
posta sopra la croce: Gesù Nazareno, re dei Giudei.
Si era durante il capitolo provinciale, tenuto ad Arles. L'uomo di Dio Francesco, che allora si trovava
assai lontano, apparve alla porta del capitolo, elevato nell'aria e, benedicendo i frati con le mani stese in
forma di croce, ricolmò il loro spirito con tanta varietà di consolazioni da renderli sicuri che quella apparizione meravigliosa era dotata di potenza celeste: era il loro stesso spirito a testimoniarlo, dentro di
loro.
D'altronde, siccome il fatto non rimase nascosto al beato padre, palesemente da ciò stesso risulta
chiaro quanto il suo spirito fosse aperto alla luce della Sapienza eterna, quella che è più mobile di ogni moto
e per la sua purezza penetra e riempie ogni cosa, si trasfonde nelle anime sante e forma gli amici di Dio e i
profeti.
LEZIONE V
1361 Una volta i frati si erano radunati a Capitolo a Santa Maria degli Angeli, secondo l'usanza. Uno di loro,
protetto dal mantelletto di qualcuno che lo difendeva, non voleva assoggettarsi alla disciplina. Il Santo, che
allora stava segregato in cella a pregare, per fare da intermediario tra i frati e Dio, vide ciò in ispirito, fece
chiamare a sé uno di loro e gli disse: « O fratello, ho visto sulla schiena di quel frate disobbediente un
diavolo, che gli stringeva il collo: soggiogato da un simile cavaliere, egli seguiva le sue redini e i suoi
incitamenti e disprezzava il freno dell'obbedienza. Va, dunque, e dì al frate che senza indugio pieghi il collo
sotto la santa obbedienza: così suggerisce di fare anche colui per le cui insistenti preghiere quel demonio si
è allontanato sconfitto ». Ammonito per ambasciatore, il frate sentì spirito di pentimento e ricevette la luce
della verità; si prostrò con la faccia a terra davanti al vicario del Santo, si riconobbe colpevole, chiese
perdono, accolse e sopportò pazientemente la disciplina e d'allora in poi obbedì umilmente in ogni cosa.
LEZIONE VI
1362 Al tempo in cui egli, sul monte della Verna, se ne restava rinchiuso nella cella, uno dei suoi compagni
provava gran desiderio di avere un qualche scritto con le parole del Signore, firmato da lui di propria mano.
Credeva, infatti che con questo mezzo avrebbe potuto eliminare o almeno, di certo, sopportare con
minor pena la grave tentazione, da cui era vessato: tentazione non carnale, ma di spirito.
Languiva per tale desiderio ed era interiormente angustiato, perché, umile qual era, riservato e
semplice, si lasciava vincere dalla vergogna e non osava confidare la cosa al reverendo Padre. Ma se non lo
disse a lui l'uomo, glielo rivelò lo Spirito.
Francesco, infatti, ordinò a quel frate di portargli inchiostro e carta e, scrivendo le lodi del Signore
con una benedizione per lui di propria mano, come quello desiderava, gli offrì benignamente quanto aveva
scritto--e tutta quella tentazione scomparve definitivamente.
Quello stesso bigliettino, poi, fu tenuto in serbo e, in seguito, apportò a moltissimi la guarigione: così,
da questo risulta chiaramente a tutti quale merito abbia avuto davanti a Dio chi lo ha scritto ed ha lasciato in
un fogliettino firmato una potenza così grande ed efficace.
LEZIONE VII
1363 In un'altra circostanza, una nobildonna a Dio devota, si recò fiduciosamente dal Santo e lo supplicava
con tutte le forze a voler intercedere presso il Signore per suo marito, che era molto cattivo con lei e la
faceva soffrire, perché la osteggiava nel servizio di Cristo: che il Signore, con una larga infusione della sua
grazia, ne mitigasse la durezza di cuore .
Udito questo, I'uomo santo e pietoso, con santi discorsi la confermò nel bene, I'assicurò che sarebbe
venuta presto la consolazione da lei desiderata e, finalmente, le comandò di far sapere al marito, da parte di
Dio e sua, che « ora eta tempo di clemenza, poi sarebbe stato tempo di giustizia ». Credette la donna alle
parole, che il servo del Signore le aveva detto e, ricevuta la benedizione, ritornò in fretta a casa. Incontrato il
marito, gli narrò il colloquio avuto, aspettando senza dubitare che si realizzasse la promessa, secondo il suo
desiderio.
Non appena quelle parole risonarono alle orecchie di quell'uomo, cadde sopra di lui lo spirito di grazia
e gli intenerì il cuore, tanto che, da allora in poi, lasciò che la devota coniuge servisse liberamente a Dio e si
offrì di servire il Signore insieme con lei.
Dietro persuasione della santa moglie, condussero per molti anni vita da celibi e poi, nello stesso
giorno, la donna al mattino e l'uomo a vespro tornarono al Signore: sacrificio mattutino, la prima; I'altro,
sacrificio vespertino.
LEZIONE VIII
1364 Nel tempo in cui il servitore del Signore giaceva malato a Rieti, fu colpito da grave infermità un
canonico di nome Gedeone, vizioso e mondano.
Lo portarono, steso sul lettuccio, da lui: e lo pregava, insieme con gli astanti, di benedirlo con il
segno della croce.
Ed egli a lui: << Siccome un tempo sei vissuto secondo i desideri della carne, senza temere i giudizi
di Dio, io ti benedirò con il segno della croce -- non per te, ma per le devote preghiere di costoro. Però in
questo modo: che fin d'ora io ti faccio sapere con certezza che soffrirai pene più gravi se, quando sarai
guarito, ritornerai al vomito >>.
Fece su di lui il segno della croce, dalla testa ai piedi: scricchiolarono le ossa della sua schiena -- e
tutti sentirono -- come quando si rompe legna secca con le mani. Subito colui che giaceva rattrappito si alzò
sano e, prorompendo in lodi a Dio disse: << Sono guarito >>.
Ma, trascorso un po' di tempo, si dimenticò di Dio e si abbandonò di nuovo all'impudicizia.
Una sera era andato a cena, ospite di un canonico, ed era rimasto la notte a dormire con lui: il tetto
della casa improvvisamente precipitò su tutti loro ed uccise lui solo. Tutti gli altri sfuggirono alla morte.
E così avvenne che, simultaneamente, in quell'unico avvenimento si manifestò chiaramente quanto
sia severo contro gli ingrati lo zelo della giustizia divina e quanto fosse veritiero e sicuro nel predire eventi
dubbi lo spirito di profezia, di cui Francesco era ricolmo.
LEZIONE IX
1365 Dopo il suo ritorno dai paesi d'oltremare, si recò una volta a Celano per predicare.
Un cavaliere lo invitò, con umiltà e devozione e con grande insistenza, a pranzo, e quasi lo costrinse
contro sua voglia .
Ma prima che prendessero cibo, I'uomo devoto stava, secondo la sua abitudine, offrendo con la
mente preci e lodi a Dio, quando vide in spirito che per quell'uomo ormai era imminente la morte, e il
giudizio.
Rapito fuori di sé, rimaneva con gli occhi levati al cielo. Terminata finalmente l'orazione, prese in
disparte il buon ospitante e gli predisse che la morte era vicina, lo ammonì a confessarsi e lo stimolò, con
tutte le sue forze, al bene.
L'uomo acconsentì subito alle parole del Santo e manifestò al compagno di lui in confessione tutti
quanti i peccati: mise ordine alle cose sue, si affidò alla misericordia divina e si preparò megIio che poté ad
accogliere la morte.
Pertanto: mentre gli altri attendevano a rifocillare il corpo, il cavaliere, che appariva sano e forte,
esalò improvvisamente l'anima, secondo la parola dell'uomo di Dio. Certo egli fu portato via da una morte
repentina; ma, per lo spirito profetico del Santo, poté premunirsi con le armi della penitenza e così sfuggì
alla dannazione eterna ed entrò nei tabernacoli eterni, secondo la promessa del Vangelo.
CRISTO APPROVA LA REGOLA
1672 113. Dimorava Francesco sopra un monte assieme a frate Leone d'Assisi e Bonizo da
Bologna per comporre la Regola, giacché era andato smarrito il testo della prima, dettatogli
da Cristo.
Numerosi ministri si recarono da frate Elia, vicario di Francesco, e gli dissero: «
Abbiamo sentito che questo fratello Francesco sta facendo una nuova Regola, e temiamo non
la renda così dura da riuscire inosservabile. Noi vogliamo che tu vada da lui e gli riferisca che
ci rifiutiamo di assoggettarci a tale Regola. Se la scriva per sé, e non per noi ». Frate Elia
osservò che non aveva coraggio di andarci, per paura dei rimproveri di Francesco. Ma
siccome quelli insistevano, ribatté che non intendeva recarsi là senza di loro. Così partirono
tutti insieme.
Quando frate Elia, accompagnato dai ministri fu giunto a Fonte Colombo, chiamò il
Santo. Francesco uscì e vedendo i ministri chiese: « Cosa vogliono questi fratelli? ». Rispose
Elia: « Sono dei ministri. Venuti a sapere che stai facendo una nuova Regola e temendo non sia troppo aspra, dicono e protestano che non intendono esservi obbligati. Scrivila per te, e
non per loro ».
Francesco levò la faccia al cielo e parlò a Cristo: « Signore, non lo dicevo che non ti
avrebbero creduto? ». E subito si udì nell'aria la voce di Cristo: « Francesco, nulla di tuo è
nella Regola, ma ogni prescrizione che vi si contiene è mia. E voglio sia osservata alla lettera,
alla lettera, alla lettera! senza commenti, senza commenti, senza commenti». Aggiunse: « So
ben io quanto può la debolezza umana, e quanto può la mia grazia. Quelli dunque che non
vogliono osservare la Regola, escano dall'Ordine! ».
Si volse allora Francesco a quei frati e disse: « Avete sentito? avete sentito? Volete che
ve lo faccia ripetere? ». E così i ministri se ne tornarono scornati e riconoscendosi in colpa.
1673 114. Mentre Francesco era al Capitolo generale, detto delle Stuoie, che si tenne presso la
Porziuncola e a cui intervennero cinquemila fratelli, molti di questi, uomini di cultura,
accostarono il cardinale Ugolino, il futuro Gregorio IX, che a sua volta partecipava all'assise
capitolare. E gli chiesero che persuadesse Francesco a seguire i consigli dei frati dotti e a
lasciarsi qualche volta guidare da loro. Facevano riferimento alle Regole di san Benedetto,
sant'Agostino e san Bernardo, che prescrivono questa e quest'altra norma al fine di condurre
una vita religiosa ben ordinata.
Udita che ebbe Francesco l'esortazione del cardinale su tale argomento, lo prese per
mano e lo condusse davanti all'assemblea capitolare, dove disse: « Fratelli, fratelli miei, Dio
mi ha chiamato a camminare la via della semplicità e me l'ha mostrata. Non voglio quindi
che mi nominiate altre Regole, né quella di sant'Agostino, né quella di san Bernardo o di san
Benedetto. Il Signore mi ha rivelato essere suo volere che io fossi un pazzo nel mondo: questa
è la scienza alla quale Dio vuole che ci dedichiamo! Egli vi confonderà per mezzo della vostra
stessa scienza e sapienza. Io ho fiducia nei castaldi del Signore, di cui si servirà per punirvi.
Allora, volenti o nolenti, farete ritorno con gran vergogna alla vostra vocazione ».
Stupì il cardinale a queste parole e non disse nulla, e tutti i frati furono pervasi da timore.
COME COMPORTARSI CON IL CLERO
1674 115. Dissero una volta alcuni frati a Francesco: « Padre, non vedi che i vescovi non ci
permettono talora di predicare, obbligandoci a rimaner più giorni sfaccendati in certe città,
prima che possiamo parlare al popolo? Sarebbe più conveniente che tu ci ottenessi un
privilegio dal signor Papa, a vantaggio della salvezza delle anime ».
Francesco rispose con tono contrariato: « Voi, frati minori, non conoscete la volontà di
Dio e non mi permettete di convertire tutto il mondo nel modo voluto da Dio. Infatti, io
intendo innanzi tutto convertire i prelati con l'umiltà e il rispetto. E quando essi
constateranno la nostra vita santa e la reverenza di cui li circondiamo saranno loro stessi a
pregarvi di predicare e convertire il popolo. E attireranno a voi la gente meglio dei privilegi
da voi agognati, che vi indurrebbero a insuperbire. Se sarete liberi da ogni tornaconto e persuaderete il popolo a rispettare i diritti delle chiese, i prelati vi chiederanno di ascoltare le
confessioni dei loro fedeli. Oltre tutto, di questo non vi dovete preoccupare: quelli che si
convertono trovano senza difficoltà dei confessori.
Io voglio per me questo privilegio dal Signore: non avere nessun privilegio dagli
uomini, fuorché quello di essere rispettoso con tutti e di convertire la gente più con l'esempio
che con le parole, conforme all'ideale della Regola ».
LAGNANZE DI CRISTO
1675 116. Disse una volta il Signore Gesù Cristo a frate Leone compagno di Francesco: « Io
ho di che lamentarmi, riguardo ai frati ». Rispose Leone: « A motivo di che, Signore? ».
Rispose: « Su tre punti. Primo, perché non sono riconoscenti per i benefici che, come tu sai,
ogni giorno io largisco loro generosamente, dando ad essi il necessario, sebbene non
seminino e non mietano. Secondo, perché passano tutta la giornata in ozio a brontolare.
Terzo, perché spesso si adirano vicendevolmente e non tornano a volersi bene, perdonando
l'ingiuria ricevuta ».
L' ULTIMA CENA DI FRANCESCO
1676 117. Una notte Francesco fu talmente colpito dal rincrudire delle sofferenze provocate
dalle sue malattie che gli riuscì quasi impossibile riposare e dormire. Ai mattino, come i
dolori si attenuarono un poco, fece chiamare tutti i frati dimoranti in quel luogo. Seduti che
furono accanto a lui, il Santo li considerò come rappresentanti di tutta la fraternità.
E cominciando da uno di essi, li benediceva, posando la destra sul capo di ciascuno,
con l'intenzione di benedire tutti quelli che vivevano allora nell'Ordine e quanti vi sarebbero
venuti sino alla fine del mondo. E lo si vedeva tutto accorato di non poter mirare i suoi figli e
fratelli prima di morire.
Si fece poi recare dei pani e li benedisse. Siccome a causa della sua infermità non
aveva la forza per spezzarli, li fece dividere in molte parti da un fratello, e ne diede un
frammento a ciascuno, raccomandando che venisse consumato interamente. Come il Signore
il giovedì santo volle cenare con gli apostoli prima della sua passione, così anche Francesco,
parve a quei fratelli, prima di morire volle benedirli e nelle loro persone benedire tutti gli
altri, e mangiare quel pane benedetto quasi in compagnia di tutti gli assenti.
Noi possiamo ben credere a questa intenzione, poiché, sebbene quel giorno non fosse
un giovedì, il Santo disse ai frati che invece pensava proprio lo fosse.
Uno di quei frati conservò una particella di quel pane. E dopo la morte di Francesco
alcuni infermi che ne ebbero mangiato, tosto furono guariti.
Fine della
Leggenda perugina
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