Le Fonti Francescane
Sezione seconda
VITA PRIMA
DI SAN FRANCESCO D'ASSISI
di Tommaso da Celano
CAPITOLO XV
FAMA DEL BEATO FRANCESCO. CONVERSIONE DI MOLTI A DIO. COME LA SUA ISTITUZIONE FU CHIAMATA " ORDINE DEI FRATI MINORI ". FORMAZIONE DI COLORO CHE Vl ENTRAVANO
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36. Il valorosissimo soldato di Cristo passava per città e castelli annunciando il Regno dei cieli, la pace, la via della salvezza, la penitenza in remissione dei peccati; non però con gli artifici della sapienza umana, ma con la virtù dello Spirito (1Cor 2,4). Poiché ne aveva ricevuto l'autorizzazione dalla Sede Apostolica, operava fiducioso e sicuro, rifuggendo da adulazioni e lusinghe. Non era solito blandire i vizi, ma sferzarli con fermezza; non cercava scuse per la vita dei peccatori, ma li percuoteva con aspri rimproveri, dal momento che aveva piegato prima di tutto se stesso a fare ciò che inculcava agli altri. Non temendo quindi d'esser trovato incoerente, predicava la verità con franchezza, tanto che anche uomini dottissimi e celebri accoglievano ammirati le sue ispirate parole, e alla sua presenza erano invasi da un salutare timore.
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Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano a gara a vedere e a sentire il Santo di Dio, che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo. Persone di ogni età e sesso venivano sollecite ad ammirare le meraviglie che il Signore di nuovo compiva nel mondo per mezzo del suo servo. La presenza o anche la sola fama di san Francesco sembrava davvero una nuova luce mandata in quel tempo dal cielo a dissipare le caliginose tenebre che avevano invaso la terra, così che quasi più nessuno sapeva scorgere la via della salvezza. Erano infatti quasi tutti precipitati in una così profonda dimenticanza del Signore e dei suoi comandamenti, che appena sopportavano di smuoversi un poco dai loro vizi incalliti e inveterati.
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37. Splendeva come fulgida stella nel buio della notte e come luce mattutina diffusa sulle tenebre; così in breve l'aspetto dell'intera regione si cambiò e, perdendo il suo orrore, divenne più ridente. E’ finita la lunga siccità, e nel campo già squallido cresce rigogliosa la messe. Anche la vigna incolta comincia a coprirsi di fiori profumati e a maturare, per grazia del Signore, i frutti soavi di bontà e di bene. Ovunque risuonano azioni di grazie e inni di lode, e non pochi, lasciate le cure mondane, seguendo l'esempio e l'insegnamento di san Francesco, impararono a conoscere amare e rispettare il loro Creatore. Molti, nobili e plebei, chierici e laici, docili alla divina ispirazione, si recavano dal Santo, bramosi di schierarsi per sempre con lui e sotto la sua guida. E a tutti egli, come ricca sorgente di grazia celeste, dona le acque vivificanti che fanno sbocciare le virtù nel giardino del cuore. Artista e maestro di vita evangelica veramente glorioso: mediante il suo esempio, la sua Regola e il suo insegnamento, si rinnova la Chiesa di Cristo nei suoi fedeli, uomini e donne, e trionfa la triplice milizia degli eletti.
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A tutti dava una regola di vita, e indicava la via della salvezza a ciascuno secondo la propria condizione.
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38. É ora il momento di concentrare l'attenzione soprattutto sull'Ordine che Francesco suscitò col suo amore e vivificò con la sua professione. Proprio lui infatti fondò l'Ordine dei frati minori, ed ecco in quale occasione gli diede tale nome. Mentre si scrivevano nella Regola quelle parole: "Siano minori", appena l'ebbe udite esclamò: "Voglio che questa Fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori". E realmente erano " minori "; " sottomessi a tutti " e ricercavano l'ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche umiliazione, per gettare così. le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si potesse svolgere l'edificio spirituale di tutte le virtù.
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E davvero su questa solida base edificarono, splendida. la costruzione della carità. E come pietre vive, raccolte, per così dire, da ogni parte del mondo, crebbero in tempio dello Spirito Santo. Com'era ardente l'amore fraterno dei nuovi discepoli di Cristo! Quanto era forte in essi l'amore per la loro famiglia religiosa! Ogni volta che in qualche luogo o per strada, come poteva accadere, si incontravano, era una vera esplosione del loro affetto spirituale, il solo amore che sopra ogni altro amore è fonte di vera carità fraterna. Ed erano casti abbracci, delicati sentimenti, santi baci, dolci colloqui, sorrisi modesti, aspetto lieto, occhio semplice, animo umile, parlare cortese, risposte gentili, piena unanimità nel loro ideale, pronto ossequio e instancabile reciproco servizio.
39. Avendo disprezzato tutte le cose terrene ed essendo immuni da qualsiasi amore egoistico, dal momento che riversavano tutto l'affetto del cuore in seno alla comunità, cercavano con tutto l'impegno di donare perfino se stessi per venire incontro alle necessità dei fratelli. Erano felici quando potevano riunirsi, più felici quando stavano insieme; ma era per tutti pesante il vivere separati, amaro il distacco, doloroso il momento dell'addio. Questi docilissimi soldati non anteponevano comunque nulla ai comandi della santa obbedienza; vi si preparavano anzi in anticipo, e si precipitavano ad eseguire, senza discutere e rimosso ogni ostacolo, qualunque cosa veniva loro ordinata.
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Da cultori fedeli della santissima povertà, poiché non possedevano nulla, non s'attaccavano a nessuna cosa, e niente temevano di perdere. Erano contenti di una sola tonaca talvolta rammendata dentro e fuori, tanto povera e senza ricercatezze da apparire in quella veste dei veri crocifissi per il mondo, e la stringevano ai fianchi con una corda, e portavano rozzi calzoni. Il loro santo proposito era di restare in quello stato, senza avere altro. Erano perciò sempre sereni, liberi da ogni ansietà e pensiero, senza affanni per il futuro; non si angustiavano neppure di assicurarsi un ospizio per la notte, anche se pativano grandi disagi nel viaggio. Sovente, durante il freddo più intenso, non trovando ospitalità, si rannicchiavano in un forno, o pernottavano in qualche spelonca.
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Di giorno, quelli che ne erano capaci, si impegnavano in lavori manuali, o nei ricoveri dei lebbrosi o in altri luoghi, servendo a tutti con umiltà e devozione. Non volevano esercitare nessun lavoro che potesse dar adito a scandalo, ma sempre si occupavano di cose sante e giuste, oneste e utili, dando esempio di umiltà e di pazienza a tutti coloro con i quali si trovavano.
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40. Amavano talmente la pazienza, che preferivano stare dove c'era da soffrire persecuzioni che non dove, essendo nota la loro santità, potevano godere i favori del mondo. Spesso, ingiuriati, vilipesi, percossi, spogliati, legati, incarcerati, sopportavano tutto virilmente, senza cercare alcuna difesa; dalle loro labbra anzi non usciva che un cantico di lode e di ringraziamento.
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Non cessavano quasi mai di pregare e lodare il Signore; esaminando ogni loro azione, ringraziavano Dio per il bene fatto e piangevano amaramente per le colpe e negligenze commesse. Quando poi nella preghiera non avvertivano la usuale dolcezza, si credevano abbandonati da Dio. E per non lasciarsi sorprendere dal sonno durante la loro lunga preghiera, adoperavano diversi espedienti: alcuni si aggrappavano a delle funi, altri si servivano di cilizi di ferro o di legno. Se talvolta pareva loro di essere stati meno sobri del solito, per aver preso cibo e bevanda a sufficienza, oppure di aver oltrepassato sia pur per poco la misura della stretta necessità per la stanchezza del viaggio, si punivano aspramente con una astinenza di parecchi giorni. Si studiavano infine di domare gli istinti della carne con tal rigore, da non esitare spesso a tuffarsi nel ghiaccio e a martoriare il corpo tra i rovi acuminati rigandolo di sangue.
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41. Avevano tanto disprezzo per i beni terreni, che a stento sopportavano di accettare le cose più necessarie per vivere e, disabituati ormai da lungo tempo a qualsiasi comodità corporale, affrontavano senza paura alcuna le più dure privazioni.
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Ma mentre erano così severi con se stessi, il loro contegno era sempre garbato e pacifico con tutti; e attendevano solo a opere di edificazione e di pace, evitando con grande cura ogni motivo di mal esempio. Parlavano solamente quando era necessario, né mai dicevano parole scorrette o vane. In tutta la loro vita e attività non si poteva trovare nulla che non fosse onesto e retto. Dal loro atteggiamento traspariva sempre compostezza e modestia; e mortificavano talmente i propri sensi che non vedevano né sentivano se non quello che era essenziale e doveroso: sguardo rivolto a terra e mente fissa al cielo. Gelosia, malizia, rancore, diverbi, sospetto, amarezza non trovavano posto in loro, ma soltanto grande concordia, costante serenità, azioni di grazia e di lode.
Ecco i princìpi con i quali Francesco educava i suoi nuovi figli, e non semplicemente a parole, ma soprattutto con le opere e l'esempio della sua vita.
CAPITOLO XVI
DIMORA A RIVOTORTO E OSSERVANZA DELLA POVERTÀ
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42. Il beato Francesco era solito raccogliersi con i suoi compagni in un luogo presso Assisi, detto Rivotorto, ed erano felici, quegli arditi dispregiatori delle case grandi e belle, di un tugurio abbandonato ove potevano trovare riparo dalle bufere, perché, al dire di un santo, c'è maggior speranza di salire più presto in cielo dalle baracche che dai palazzi.
Padre e figli se ne stavano così insieme, tra molti stenti e indigenze, non di raro privi anche del ristoro del pane, contenti di qualche rapa che andavano a mendicare per la pianura di Assisi. L'abitazione poi era tanto angusta, che a fatica vi potevano stare seduti o stesi a terra, tuttavia "non si udiva mormorazione né lamento; ognuno manteneva la sua giocondità di spirito e tutta la sua pazienza".
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San Francesco ogni giorno, anzi di continuo esaminava diligentemente se stesso e i suoi, perché non restasse in loro nulla di mondano e fosse evitata qualsiasi negligenza. Con se stesso era particolarmente rigoroso e vigile, e se come avviene a tutti, lo assaliva qualche tentazione della carne, si immergeva d'inverno nel ghiaccio, finché il pericolo spirituale fosse scomparso. Gli altri, naturalmente, imitavano fervidamente questo suo mirabile esempio di penitenza.
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43. Insegnava loro non solo a combattere i vizi e a mortificare gli stimoli del corpo, ma anche a conservare puri i sensi esterni, per i quali la morte entra nell'anima.
Passando un giorno per quelle contrade con grande pompa e clamore l'imperatore Ottone, che si recava a ricevere "la corona della terra", il santissimo padre non volle neppure uscire dal suo tugurio, che era vicino alla via di transito, né permise che i suoi vi andassero, eccetto uno il quale doveva annunciare con fermezza all'imperatore che quella sua gloria sarebbe durata ben poco.
Siccome il glorioso Santo aveva la sua dimora nell'intimo del cuore, dove preparava una degna abitazione a Dio, il mondo esteriore con il suo strepito non poteva mai distrarlo, né alcuna voce interrompere la grande opera a cui era intento. Si sentiva investito dall'autorità apostolica, e perciò ricusava fermamente di adulare re e principi.
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44. Cercava costantemente la santa semplicità, né ammetteva che l'angustia del luogo impedisse le espansioni dello spirito. Scrisse perciò i nomi dei frati sui travicelli della capanna, perché ognuno potesse riconoscervi il proprio posto per la preghiera e il riposo, e la ristrettezza del luogo non turbasse il raccoglimento dell'animo.
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Mentre erano nel tugurio, capitò un giorno che un contadino vi giungesse col suo asinello, e temendo di essere cacciato fuori, spinse l'asino dentro il tugurio, incitandolo con queste parole: "Entra, che faremo un buon servizio a questo ricovero!". Francesco nell'udire questo si rattristò, indovinando il pensiero di quell'uomo: credeva infatti che i frati volessero fermarvisi e ingrandire la loro abitazione, unendo casa a casa. E subito san Francesco abbandonò quel luogo, per recarsi in un altro non distante, chiamato Porziuncola dove, come si disse, molto tempo prima egli stesso aveva riparato la chiesa di Santa Maria. Non voleva avere nulla di proprio, per poter possedere più pienamente tutto nel Signore.
CAPITOLO XVII
IL BEATO FRANCESCO INSEGNA Al FRATI A PREGARE. OBBEDIENZA E PUREZZA DEI MEDESIMI
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45. In quel tempo i frati gli chiesero con insistenza che insegnasse loro a pregare, perché, comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora l'ufficio liturgico. Ed egli rispose: "Quando pregate, dite: Padre nostro (Mt 6,9)! e: Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo e Ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo ". E questo gli stessi discepoli del pio maestro si impegnavano ad osservare con ogni diligenza, perché si proponevano di eseguire perfettamente non solo i consigli fraterni e i comandi di lui, ma perfino i suoi segreti pensieri, se riuscivano in qualche modo a intuirli.
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Infatti il beato padre insegnava loro che la vera obbedienza riguarda i pensieri non meno che le parole espresse. i desideri non meno che i comandi. E cioè: "Se un frate suddito, prima ancora di udire le parole del superiore, ne indovina l'intenzione, subito deve disporsi all'obbedienza e fare ciò che al minimo segno gli sembrerà la volontà di lui".
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Fedeli alla esortazione di Francesco, essi, ogni volta che passavano vicino a una chiesa, oppure anche la scorgevano da lontano, si inchinavano in quella direzione e, proni col corpo e con lo spirito, adoravano l'Onnipotente, dicendo: "Ti adoriamo, o Cristo, qui e in tutte le chiese". E, cosa non meno ammirevole, altrettanto facevano dovunque capitava loro di vedere una croce o una forma di croce, per terra, sulle pareti, tra gli alberi, nelle siepi.
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46. Erano così pieni di santa semplicità, di innocenza! di purezza di cuore da ignorare ogni doppiezza. Come unica era la loro fede, così regnava in essi l'unità degli animi, la concordia degli intenti e dei costumi, la stessa carità, la pratica delle virtù, la pietà degli atti, l'armonia dei pensieri.
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Avevano scelto come confessore un sacerdote secolare che era tristamente noto per le sue enormi colpe e degno del disprezzo di tutti a motivo della sua depravata condotta; ma essi non vollero credere al male che si diceva di lui e continuarono a confessargli i propri peccati, prestandogli la debita riverenza. Anzi, avvenne un giorno che quel sacerdote, o forse un altro, dicesse a uno di loro: " Bada, fratello, di non essere ipocrita"; quel frate si reputò davvero ipocrita e, per il profondo dolore che ne sentiva, non sapeva più darsi pace, giorno e notte. Agli altri che gli chiedevano il perché di tanto insolito lamento e mestizia, rispondeva: "Un sacerdote mi ha detto questo, e io ne sono così afflitto da non poter pensare ad altro!". Lo esortavano, per consolarlo, a non prestar fede a quelle parole; ma egli replicava: "Che dite mai, fratelli? Può forse un sacerdote dire il falso? Se il sacerdote non può mentire, bisogna credere che quanto mi ha detto è vero". E perseverò a lungo in tale semplicità, finché Francesco stesso lo assicuro, spiegandogli le parole del sacerdote e scusandone con sapiente intuito l'intenzione. Non c'era turbamento, per grande che fosse, nell'animo dei confratelli che alla sua parola di fuoco non svanisse e tornasse il sereno!
CAPITOLO XVIII
IL CARRO DI FUOCO E COME IL BEATO FRANCESCO, ANCHE ASSENTE, VEDEVA I SUOI FRATI
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47. Poiché camminavano con semplicità davanti a Dio e con coraggio davanti agli uomini, in quel tempo meritarono i santi frati la grazia di una rivelazione soprannaturale. Animati dal fuoco dello Spirito Santo, pregavano cantando il "Pater noster" su una melodia religiosa, non solo nei momenti prescritti, ma ad ogni ora, perché non erano preoccupati dalle cure materiali.
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Una volta che Francesco era assente, verso mezzanotte, mentre alcuni dormivano e altri pregavano fervorosamente in silenzio, entrò per la porticina della casa un carro di fuoco luminosissimo che fece due o tre giri per la stanza; su di esso poggiava un grande globo, che a guisa di sole rischiarò le tenebre notturne. I frati che vegliavano furono pieni di stupore, quelli che dormivano si destarono atterriti, sentendosi tutti quanti invasi da quella luce, non solo nel corpo, ma anche nello spirito. Riunitisi insieme, si domandavano il significato di quel misterioso fenomeno; ma ecco, per la virtù di tanto fulgore ognuno vedeva chiaramente nella coscienza dell'altro. Allora compresero e furono certi che si trattava dell'anima del beato padre, raggiante di così grande splendore, e che essa si era meritato da Dio quel dono straordinario di benedizione e di grazia, soprattutto a motivo della sua purezza e per la sua sollecitudine paterna verso i suoi figli.
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48. Spessissimo avevano avuto precisi e chiari indizi che Francesco, per la sua santità, poteva leggere i segreti della loro anima. Quante volte infatti, per rivelazione dello Spirito Santo, conobbe le vicende dei fratelli lontani, penetrò i cuori e le coscienze! Quanti avvertì in sogno di quello che dovevano fare o evitare! A quanti, che sembravano retti esteriormente, predisse il pericolo della perdizione, mentre ad altri, conoscendo il termine delle loro opere malvagie, predisse la grazia della salvezza! Qualcuno anzi, particolarmente puro e semplice, ebbe il dono e il conforto speciale della apparizione del Santo in maniera davvero singolare.
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Tra tanti fatti del genere, eccone uno appreso da testimoni degni di fede. Frate Giovanni da Firenze, eletto da san Francesco ministro dei minori in Provenza, aveva raccolto i suoi frati a capitolo. Il Signore Iddio gli concesse, nella sua bontà, la grazia di parlare con tanto zelo da conquistare tutti ad un ascolto benevolo e attento. Era presente tra loro un frate sacerdote, di nome Monaldo, famoso specialmente per la vita virtuosa, fondata sull'umiltà, corroborata dalla preghiera frequente e difesa dalla pazienza; ed anche frate Antonio al quale Iddio diede "l'intelligenza delle sacre Scritture"(Lc 24,45) e il dono di predicare Cristo al mondo intero con parole più dolci del miele. Ora, mentre Antonio predicava ai frati con fervore e devozione grandissima sul tema: "Gesù Nazzareno, Re dei Giudei" (Gv 19,19), il detto frate Monaldo, guardando verso la porta della sala capitolare, vide il beato Francesco sollevato in alto, con le braccia distese a forma di croce, in atto di benedire i presenti. E tutti i presenti, sentendosi essi stessi investiti dalla consolazione dello Spirito Santo, e ripieni di gaudio salutare, trovarono assai credibile il racconto dell'apparizione e della presenza del gloriosissimo Padre.
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49. Quanto alla conoscenza che egli aveva dei segreti dei cuori, tra le molte prove che molti conobbero, ne riferirò una indubitabile sotto ogni aspetto. Un frate di nome Riccerio, nobile di famiglia e più ancora di costumi, vero amante di Dio e disprezzatore di se stesso, aveva il pio desiderio e la fortissima volontà di assicurarsi la piena benevolenza del santo padre Francesco; ma d'altra parte lo tormentava il timore che san Francesco lo detestasse segretamente, privandolo del suo affetto. Era convinto questo frate, assai timorato, che chiunque era amato di particolare amore da san Francesco, fosse anche degno di meritarsi la divina grazia, e che viceversa fosse segno di condanna del Giudice divino, se non fosse accolto da lui con benevolenza e amicizia. Ma non rivelava a nessuno questo suo inquietante e persìstente pensiero.
50. Un giorno però il beato padre, mentre pregava nella cella, e quel fratello, angosciato dal solito dubbio, stava avvicinandosi a quel "luogo", ne avvertì l'arrivo e il turbamento che aveva nell'animo. Subito lo fece chiamare, e gli disse: "Non lasciarti turbare da nessuna tentazione figliolo; nessun pensiero ti tormenti, perché tu mi sei carissimo, e sappi che sei tra quelli a me più cari, e ben degno del mio affetto e della mia amicizia. Vieni da me quando vuoi, liberamente come ad amico". Restò attonito frate Riccerio, e da allora in poi, pieno di più grande venerazione, quanto più vedeva crescere l'amore di san Francesco per lui, tanto più dilatava la sua fiducia nella divina misericordia.
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Quanto penosa dev'essere, padre santo, la tua assenza per quelli che disperano di trovare sulla terra un altro simile a te! Aiuta con la tua intercessione, te ne preghiamo, coloro che vedi avvolti nella micidiale macchia del peccato, tu che, mentre eri già ripieno dello spirito dei giusti, e prevedevi l'avvenire e conoscevi le realtà presenti, malgrado ciò, per mettere in fuga ogni forma di ostentazione, ti ricoprivi con il manto della santa semplicità. Ma ritorniamo indietro, riprendendo l'ordine storico della narrazione.
CAPITOLO XIX
LA VIGILANZA SUI SUOI FRATI.
IL DISPREZZO Dl SE STESSO.
LA VERA UMILTÀ
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51. Il beatissimo uomo Francesco, ritornò corporalmente tra i suoi frati, dai quali, come si disse, non era mai stato assente con lo spirito. Santamente curioso di conoscere lo spirito dei suoi figli, sottoponeva a diligente esame la condotta di ognuno, non lasciando impunita nessuna colpa, se vi scopriva qualcosa, anche minima, di meno che retto Badava prima ai difetti dell'animo, poi a quelli esterni, infine rimoveva tutte le occasioni che di solito conducono al peccato.
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Alla santa povertà riservava una cura tutta particolare e voleva che dominasse sempre da signora, tanto da non tollerare neppure il più piccolo utensile, appena s'accorgeva che si poteva farne a meno, temendo che vi si introducesse l'abitudine di confondere il necessario col superfluo. Era solito dire che è impossibile sovvenire alla necessità senza servire alla comodità. Raramente si cibava di vivande cotte, oppure le rendeva insipide con acqua fredda, o le cospargeva di cenere! Quante volte, mentre era pellegrino nel mondo a predicare il Vangelo, invitato a pranzo da grandi signori che lo veneravano con grande affetto, mangiava appena un po' di carne in ossequio alla parola evangelica di Cristo, poi, fingendo di mangiare faceva scivolare il resto nel grembo, mettendosi una mano alla bocca perché nessuno s'accorgesse di quello che faceva! Ci s'immagini poi se prendeva del vino, dato che rifiutava persino l'acqua, quand'era assetato!
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52. Ovunque fosse ospitato di notte, non voleva materassi o coperte sul suo giaciglio, ma la nuda terra raccoglieva il suo nudo corpo avvolto solo nella tonaca. Quando poi concedeva un po' di riposo al suo corpo fragile spesso stava seduto e non disteso, servendosi per guanciale di un legno o di una pietra. E quando lo prendeva desiderio di mangiare qualche cosa, come suole accadere a tutti, a stento si concedeva poi di mangiarla.
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Avendo un giorno mangiato un po' di pollo, perché infermo, riacquistate le energie per camminare, si recò ad Assisi. Giunto alla porta della città, pregò un confratello che era con lui di legargli una fune attorno al collo e di trascinarlo per tutte le vie della città come un ladro, gridando: "Guardate questo ghiottone, che a vostra insaputa si è rimpinzato da gaudente di carne di gallina!". A tale spettacolo, molti, tra lacrime e sospiri, esclamavano: "Guai a noi miserabili che abbiamo vissuto tutta la vita solo per la carne, nutrendo il cuore e il corpo di lussuria e di crapule!". E tutti compunti, erano guidati a miglior condotta da quell'esempio straordinario.
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53. E tante altre cose simili a queste egli compiva per praticare l'umiltà nel modo più perfetto possibile, che insieme gli attiravano però amore imperituro presso gli altri. Era libero da ogni sollecitudine per il corpo, trattandolo come un vaso derelitto ed esponendolo alle ingiurie sempre preoccupato di non lasciarsi vincere dal desiderio di alcuna cosa materiale per amore di lui. Vero spregiatore di se stesso, egli con parole e con fatti ammaestrava utilmente gli altri al disprezzo di sé. Ma tutti lo magnificavano e ne cantavano giustamente le lodi; solo lui si riteneva vilissimo e si disprezzava cordialmente.
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Spesso, quand'era da tutti esaltato, sentendosi ferito come da troppo acerbo dolore, controbilanciava e scacciava l'onore degli uomini, incaricando qualcuno di maltrattarlo. Chiamava per lo più qualche confratello e gli diceva: "Ti scongiuro per obbedienza di coprirmi di ingiurie senza alcun riguardo e di dir la verità contro la falsità di costoro che mi elogiano". E quando quel fratello, ci si immagini quanto volentieri, lo chiamava villano, mercenario, buono a nulla, lui sorridendo e applaudendo diceva: "Ti benedica il Signore, perché dici cose verissime e quali convengono al figlio di Pietro di Bernardone". Con queste parole intendeva rammentare l'umiltà delle sue origini.
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54. Per farsi credere veramente degno di disprezzo e per dare agli altri esempio di una confessione sincera, se per caso commetteva qualche mancanza, non esitava a confessarla pubblicamente e sinceramente mentre predicava a tutto il popolo. Anzi, se gli capitava di pensar male, sia pur minimamente, di qualcuno, o gli sfuggiva qualche parola troppo forte, subito manifestava con tutta umiltà il suo peccato a colui che aveva osato giudicare, chiedendogli perdono. Pur non potendogli rimproverare proprio nulla, data la vigilanza che esercitava su di sé, la sua coscienza non gli dava pace, finché non avesse sanato con rimedio appropriato la ferita dell'anima. Bramava far progressi in qualsiasi specie di virtù, ma non voleva esser notato, per fuggire l'ammirazione e non cadere nella vanagloria.
Miseri noi, che ti abbiamo perduto, padre santo, esemplare di ogni bene e di umiltà! Per giusta condanna ti abbiamo perduto, perché trascurammo di conoscerti quando ti avevamo tra noi!
CAPITOLO XX
DESIDEROSO DEL MARTIRIO FRANCESCO PRIMA CERCA Dl ANDARE MISSIONARIO NELLA SPAGNA POI IN SIRIA.
PER SUO MERITO, DIO MOLTIPLICA I VIVERI E SCAMPA I NAVIGANTI DAL NAUFRAGIO
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55. Animato da ardente amore di Dio, il beatissimo padre Francesco desiderava sempre metter mano a grandi imprese, e, camminando con cuore generoso la via della volontà del Signore, anelava raggiungere la vetta della santità.
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Nel sesto anno dalla sua conversione ardendo di un intrattenibile desiderio del martirio, decise di recarsi in Siria a predicare la fede e la penitenza ai Saraceni. Si imbarcò per quella regione, ma il vento avverso fece dirottare la nave verso la Schiavonia. Allora, deluso nel suo ardente desiderio e non essendoci per quell'anno nessun'altra nave in partenza verso la Siria, pregò alcuni marinai diretti ad Ancona di prenderlo con loro. Ne ebbe un netto rifiuto perché i viveri erano insufficienti. Ma il Santo, fiducioso nella bontà di Dio, salì di nascosto sulla imbarcazione col suo compagno. Ed ecco sopraggiungere, mosso dalla divina Provvidenza, un tale, sconosciuto a tutti, che consegnò ad uno dell'equipaggio che era timorato di Dio, delle vivande, dicendogli: "Prendi queste cose e dàlle fedelmente a quei poveretti che sono nascosti nella nave, quando ne avranno bisogno ". E avvenne che, scoppiata una paurosa burrasca, i marinai, affaticandosi per molti giorni a remare, consumarono tutti i loro viveri; poterono salvarsi solo con i viveri del poverello Francesco, i quali, moltiplicandosi per grazia di Dio, bastarono abbondantemente alla necessità di tutti finché giunsero al porto di Ancona. I naviganti compresero ch'erano stati scampati dai pericoli del mare per merito di Francesco, e ringraziarono l'onnipotente Iddio, che sempre si mostra mirabile e misericordioso nei suoi servi.
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56. Lasciato il mare, il servo dell'Altissimo Francesco si mise a percorrere la terra, e solcandola col vomere della parola di Dio, vi seminava il seme di vita, che produce frutti benedetti. E subito molti uomini, buoni e idonei chierici e laici, fuggendo il mondo e sconfiggendo virilmente le insidie del demonio, toccati dalla volontà e grazia divina abbracciarono la sua vita e il suo programma
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Ma sebbene, a similitudine dell'albero evangelico producesse abbondanti e squisiti frutti, ciò non bastava a spegnere in Francesco il sublime proposito e l'anelito ardente del martirio. E così, poco tempo dopo intraprese un viaggio missionario verso il Marocco, per annunciare al Miramolino e ai suoi correligionari la Buona Novella. Era talmente vivo il suo desiderio apostolico, che gli capitava a volte di lasciare indietro il compagno di viaggio affrettandosi nell'ebbrezza dello spirito ad eseguire il suo proposito. Ma la bontà di Dio, che si compiacque benignamente di ricordarsi di me e di innumerevoli altri, fece andare le cose diversamente resistendogli in faccia. Infatti, Francesco, giunto in Spagna, fu colpito da malattia e costretto a interrompere il viaggio.
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57. Ritornato a Santa Maria della Porziuncola, non molto tempo dopo gli si presentarono alcuni uomini letterati e alcuni nobili, ben felici di unirsi a lui. Da uomo nobile d'animo e prudente, egli li accolse con onore e dignità, dando paternamente a ciascuno ciò che doveva. E davvero poiché era dotato di squisito e raro discernimento, teneva conto della condizione di ciascuno.
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Ma non riesce ancora a darsi pace finché non attui, con tentativi ancor più audaci il suo bruciante sogno. E nel tredicesimo anno dalla sua conversione, partì per la Siria, e mentre infuriavano aspre battaglie tra cristiani e pagani, preso con sé un compagno, non esitò a presentarsi al cospetto del Sultano. Chi potrebbe descrivere la sicurezza e il coraggio con cui gli stava davanti e gli parlava, e la decisione e l'eloquenza con cui rispondeva a quelli che ingiuriavano la legge cristiana? Prima di giungere al Sultano, i suoi sicari l'afferrarono, l'insultarono, lo sferzarono, ed egli non temette nulla: né minacce, né torture, né morte; e sebbene investito dall'odio brutale di molti, eccolo accolto dal Sultano con grande onore! Questi lo circondava di favori regalmente e, offrendogli molti doni, tentava di convertirlo alle ricchezze del mondo; ma, vedendolo disprezzare tutto risolutamente come spazzatura, ne rimase profondamente stupito, e lo guardava come un uomo diverso da tutti gli altri. Era molto commosso dalle sue parole e lo ascoltava molto volentieri.
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Ma in tutte queste cose il Signore non concedeva il compimento del desiderio del Santo, riservandogli il privilegio di una grazia singolare.
CAPITOLO XXI
FRANCESCO PREDICA AGLI UCCELLI
E TUTTE LE CREATURE GLI OBBEDISCONO
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58. Mentre, come si è detto, il numero dei frati andava aumentando, Francesco percorreva la valle Spoletana. Giunto presso Bevagna, vide raccolti insieme moltissimi uccelli d'ogni specie, colombe, cornacchie e " monachine ". Il servo di Dio, Francesco, che era uomo pieno di ardente amore e nutriva grande pietà e tenero amore anche per le creature inferiori e irrazionali, corse da loro in fretta, lasciando sulla strada i compagni. Fattosi vicino, vedendo che lo attendevano, li salutò secondo il suo costume. Ma notando con grande stupore che non volevano volare via, come erano soliti fare, tutto felice, li esortò a voler ascoltare la parola di Dio. E tra l'altro disse loro: "Fratelli miei uccelli, dovete lodare molto e sempre il vostro Creatore perché vi diede piume per vestirvi, ali per volare e tutto quanto vi è necessario. Dio vi fece nobili tra le altre creature e vi concesse di spaziare nell'aria limpida: voi non seminate e non mietete, eppure Egli vi soccorre e guida, dispensandovi da ogni preoccupazione". A queste parole, come raccontava lui stesso e i frati che erano stati presenti, gli uccelli manifestarono il loro gaudio secondo la propria natura, con segni vari, allungando il collo, spiegando le ali, aprendo il becco e guardando a lui. Egli poi andava e veniva liberamente in mezzo a loro, sfiorando con la sua tonaca le testine e i corpi. Infine li benedisse col segno di croce dando loro licenza di riprendere il volo. Poi anch'egli assieme ai suoi compagni riprese il cammino, pieno di gioia e ringraziava il Signore, che è venerato da tutte le creature con sì devota confessione.
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Siccome poi era uomo semplice, non per natura ma per grazia divina, cominciò ad accusarsi di negligenza, per non aver predicato prima di allora agli uccelli, dato che questi ascoltavano così devotamente la parola di Dio; e da quel giorno cominciò ad invitare tutti i volatili, tutti gli animali, tutti i rettili ed anche le creature inanimate a lodare e ad amare il Creatore, poiché ogni giorno, invocando il nome del Signore, si accorgeva per esperienza personale quanto gli fossero obbedienti.
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59. Un giorno, recatosi ad Alviano a predicare e salito su un rialzo per essere visto da tutti, chiese silenzio. Ma mentre tutti tacevano in riverente attesa, molte rondini garrivano con grande strepito attorno a Francesco. Non riuscendo a farsi sentire dal popolo per quel rumore rivolto agli uccelli, disse: "Sorelle mie rondini, ora tocca a me a parlare, perché voi lo avete già fatto abbastanza; ascoltate la parola di Dio, zitte e quiete, finché il discorso sia finito". Ed ecco subito obbedirono: tacquero e non si mossero fino a predica terminata. Gli astanti, stupiti, davanti a questo segno dicevano: "Veramente quest'uomo è un santo e un amico dell'Altissimo!". E facevano a gara per toccargli le vesti con devozione, lodando e benedicendo Iddio. Era davvero cosa meravigliosa, poiché perfino le creature prive di ragione sapevano intendere l'affetto fraterno e il grande amore che Francesco nutriva per esse!
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60. Una volta, presso Greccio, gli fu portato da un confratello un leprotto preso vivo al laccio, e il santo uomo, commosso, disse: "Fratello leprotto, perché ti sei fatto acchiappare? Vieni da me". Subito la bestiola, lasciata libera dal frate, si rifugiò spontaneamente nel grembo di Francesco, come a un luogo assolutamente sicuro. Rimasto un poco in quella posizione, il padre santo, accarezzandolo con affetto materno, lo lasciò andare, perché tornasse libero nel bosco; ma quello, messo a terra più volte, rimbalzava in braccio a Francesco, finché questi non lo fece portare dai frati nella selva vicina. Lo stesso accadde con un coniglio animale difficilmente addomesticabile, nell'isola del lago di Perugia .
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61. Altrettanto affetto egli portava ai pesci, che, appena gli era possibile, rimetteva nell'acqua ancor vivi, raccomandando loro di non farsi pescare di nuovo. Un giorno standosi egli in una barchetta nel porto del piccolo lago di Piediluco, un pescatore gli offrì con riverenza una tinca che aveva appena pescato; egli accolse lietamente e premurosamente quel pesce, chiamandolo fratello poi lo ripose nell'acqua fuori della barca e cominciò a lodare il nome del Signore. E per un po' di tempo il pesce, giocando giulivo nell'acqua, non si allontanò, finché il Santo, finita la preghiera, non gli diede il permesso di partirsene.
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Ecco come il glorioso padre Francesco, camminando per la via dell'obbedienza e della perfetta sottomissione alla volontà divina, si meritò sì grande potere da farsi obbedire dalle creature! Perfino l'acqua infatti si mutò in vino per lui, quando giaceva gravemente infermo nello Speco di Sant'Urbano (presso Stroncone). Appena ne bevve, guarì e tutti capirono che si trattava davvero di un miracolo.
E veramente non può essere che un santo colui al quale le creature obbediscono in questo modo e se ad un suo cenno cambiano natura gli stessi elementi!
CAPITOLO XXII
SAN FRANCESCO PREDICA IN ASCOLI
E PER MEZZO Dl OGGETTI TOCCATI DA LUI,
GLI AMMALATI GUARISCONO
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62. Nel tempo in cui, come si è detto, predicò agli uccelli, il venerabile padre Francesco, percorrendo città e villaggi per spargere ovunque la semente della benedizione, arrivò anche ad Ascoli Piceno. In questa città annunciò la parola di Dio con tanto fervore, che tutti, pieni di devozione, per grazia del Signore, accorrevano a lui, desiderosi di vederlo e ascoltarlo. La ressa della folla era straordinaria e ben trenta, tra chierici e laici, si fecero suoi discepoli, ricevendo dalle sue stesse mani l'abito religioso. Uomini e donne lo veneravano con tanta fede, che chiunque poteva toccargli la veste si considerava sommamente fortunato.
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Quand'egli entrava in una città, il clero gioiva, si suonavano le campane, gli uomini esultavano, si congratulavano le donne, i fanciulli applaudivano, e spesso gli andavano incontro con ramoscelli in mano e cantando dei salmi. L'eresia era coperta di confusione, la fede della Chiesa trionfava; mentre i fedeli erano ripieni di giubilo, gli eretici si rendevano latitanti. I segni della sua santità erano così evidenti, che nessun eretico osava disputare con lui, mentre tutta la folla gli obbediva.
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Egli riteneva sacrosanto dovere osservare, venerare e seguire in tutto e sopra ogni cosa gli insegnamenti della santa Chiesa romana, nella quale soltanto si trova la salvezza. Rispettava i sacerdoti e nutriva grandissimo amore per l'intera gerarchia ecclesiastica.
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63. I fedeli gli portavano pani da benedire e li conservavano a lungo, perché cibandosene guarivano dalle più diverse malattie. Sovente, spinti dalla grande fede, gli tagliuzzavano perfino la tonaca, per tenersene devotamente qualche parte, così che a volte il santo uomo restava quasi spoglio. E cosa più mirabile, qualche oggetto toccato dalla sua mano risanava gli infermi.
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Così una donna incinta, abitante in un piccolo villaggio presso Arezzo, al momento del parto fu assalita da spasimi tremendi rimanendo per molti giorni sospesa tra la vita e la morte. I vicini e i parenti, avendo saputo che sarebbe passato di lì san Francesco per recarsi in un eremo, lo attendevano con ansia; ma mentre essi l'aspettavano, egli si era incamminato su un'altra strada a cavallo, perché era debole e ammalato. Giunto alla mèta, fece ricondurre il cavallo a chi glielo aveva imprestato per carità da frate Pietro; e frate Pietro passò proprio per la via dov'era la casa della donna sofferente. Gli abitanti, appena lo videro, gli corsero incontro, credendolo san Francesco. Quando s'accorsero che non era lui, rimasero grandemente delusi, ma poi presero a domandarsi a vicenda se si poteva trovare qualche oggetto che il Santo avesse toccato. Alla fine trovarono le redini che egli stesso aveva tenuto in mano cavalcando. Estrassero allora il morso dalla bocca del cavallo, ne applicarono la briglia sul corpo dell'inferma, la quale, scomparso d'incanto ogni pericolo, partorì felicemente.
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64. Gualfreduccio, cittadino di Città della Pieve, uomo pio e timorato di Dio, come tutta la sua famiglia, era in possesso di una corda, di cui una volta si era servito san Francesco per cingersi i fianchi. Capitò che parecchi abitanti di quella contrada, uomini e donne, fossero colpiti da varie infermità e febbri, e Gualfreduccio andava nelle loro case, e dava da bere agli ammalati dell'acqua in cui aveva immerso quella corda o qualche sfilacciatura di essa, e tutti recuperavano la salute nel nome di Cristo.
Questi sono un saggio dei miracoli che accadevano in assenza del beato padre; ma ne avvenivano assai più numerosi, che non basterebbe neppure un lungo discorso a narrarli tutti. Di quelli poi che Dio operò con la sua presenza ne riferiremo qualcuno in quest'opera.
CAPITOLO XXIII
FRANCESCO GUARISCE UNO ZOPPO A TOSCANELLA
E UN PARALITICO A NARNI
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65. Pellegrinando per diverse e vaste regioni ad annunciare il Regno dei Cieli, Francesco giunse un giorno nella città di Toscanella. Qui, mentre, secondo il solito, spargeva il seme della salvezza, un cavaliere del luogo gli offrì ospitalità nella sua casa. Il figlioletto di lui, l'unico che aveva, era zoppo e tanto gracile da dover restare ancora nella culla, pur avendo oltrepassato l'età dell'allattamento. Vedendo quell'uomo di Dio così ripieno di santità, il cavaliere si gettò ai piedi di lui e umilmente gli chiese che glielo guarisse. Il Santo si riteneva del tutto indegno e incapace di una simile grazia e a lungo si rifiutò; ma poi, vinto dalle insistenti implorazioni di quel poveretto, acconsentì. Dopo aver pregato, stese le mani sul fanciullo, lo benedisse e lo invitò a levarsi; quello immediatamente, tra la gioia dei presenti, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, balzò dal suo giaciglio e cominciò a camminare perfettamente risanato.
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66. Un analogo prodigio compì Francesco a Narni, dove rimase vari giorni. Ed ecco come. Un cittadino di nome Pietro stava a letto da cinque mesi completamente paralizzato; rimasto con i piedi, le mani e la testa completamente immobili, riusciva soltanto a muovere la lingua e ad aprire gli occhi. Avendo saputo che era giunto in città il servo dell'Altissimo, il povero infermo supplicò il vescovo del luogo che in nome della misericordia divina si degnasse mandarglielo, essendo convinto che alla sola vista del Santo sarebbe guarito. E così avvenne. Appena il beato Francesco gli fu vicino e tracciò su di lui dal capo ai piedi un segno di croce, il paralitico ricuperò piena salute.
CAPITOLO XXIV
FRANCESCO RENDE LA VISTA A UNA CIECA
E A GUBBIO RISANA UN ALTRA RATTRAPPITA
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67. Una donna, pure abitante di Narni, colpita da cecità, riacquistò il dono della vista mediante il segno di croce che il beato Francesco tracciò sui suoi occhi.
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Anche un'inferma di Gubbio ebbe la gioia di essere miracolata da Francesco. Aveva le mani rattrappite e non poteva far nulla. Quando seppe che il Santo era arrivato in città, gli corse incontro, gli mostrò affranta le mani contorte, supplicandolo che gliele toccasse. Egli, impietositosi, fece quanto gli si chiedeva e la povera donna guarì. Questa, tutta lieta, tornò a casa, impastò con le proprie mani una focaccia di farina con formaggio e l'offrì a Francesco, che per renderla felice ne gradì un poco, dicendo alla donna di mangiare il resto con la sua famiglia.
CAPITOLO XXV
FRANCESCO LIBERA UN FRATE DALL' EPILESSIA
E A SANGEMINI GUARISCE UN INDEMONIATA
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68. Non so come qualificare la malattia orrenda di cui soffriva un confratello, alcuni l'attribuivano alla presenza di un diavolo maligno. Il poveretto spesso si gettava a terra e, stralunando gli occhi in modo orribile, si ravvoltolava tutto con la schiuma alla bocca; le sue membra ora si contraevano, ora si distendevano, or rigide, or piegate e contorte. Altre volte, tutto teso e irrigidito con i piedi che gli toccavano la testa, veniva levato in alto, quanto la statura di un uomo e poi subito gettato a terra. Il santo padre Francesco ne ebbe compassione immensa, si recò da lui, lo benedisse, pregando umilmente Iddio, e il malato ottenne pronta e completa salute e non patì mai più un male del genere!
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69. Un giorno Francesco, attraversando la diocesi di Narni per predicare la parola di Dio, arrivò a Sangemini, dove fu ospitato con tre fratelli da un fedele, noto per la sua grande devozione e virtù. Ma la moglie era indemoniata, e tutti gli abitanti di quel territorio lo sapevano. L'uomo confidando profondamente nei meriti del Santo, lo pregò di guarirgliela. Francesco, poiché preferiva nella sua semplicità fuggire gli onori del mondo e essere vilipeso, non voleva compiere il prodigio; ma poi, vedendo che si trattava della gloria di Dio e del bene di molti che invocavano il suo atto di carità, finì per aderirvi. Chiamati i tre frati che erano con lui, li invitò a mettersi ognuno in un angolo della stanza e disse: "Preghiamo il Signore, fratelli, per questa donna, affinché sia liberata dal giogo del demonio, a lode di Dio. Stiamo uno per ogni parte, perché il maligno non ci inganni e non ci scappi".
Dopo aver pregato, con la virtù dello Spirito Santo, si accostò all'ossessa, che era in preda a convulsioni e urla tremende, dicendo: "Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo per obbedienza ti ordino, o demonio di lasciare questa creatura e di non osare più tormentarla!". Aveva appena pronunciato quelle parole, che il diavolo se ne andò rapidissimamente con gran fracasso e furore, tanto che il santo padre, per l'improvvisa guarigione della donna e la pronta obbedienza di Satana, credette di essersi illuso, e si affrettò ad allontanarsene con rossore, ciò operando la divina Provvidenza, per impedirgli di cadere nell'orgoglio.
Per questo accadde che, passando Francesco un'altra volta per il medesimo luogo in compagnia di frate Elia, quella donna, saputolo, accorse in fretta sulla piazza, chiamandolo e pregandolo che si degnasse parlarle. Ma egli rifiutava tale richiesta, ben sapendo ch'era essa quella donna dalla quale per virtù divina aveva scacciato il demonio. Ma essa baciava le orme dei suoi piedi, ringraziando Dio e il suo servo Francesco, che l'aveva liberata dal potere della morte. Infine, per le preghiere di frate Elia, il Santo si persuase a parlarle, e da molti fu assicurato sia della suddetta infermità sia della guarigione.
CAPITOLO XXVI
ANCHE A CITTÀ DI CASTELLO
FRANCESCO SCACCIA UN DEMONIO
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70. C'era a Città di Castello una donna ossessa. Essendovi giunto il beato padre Francesco, venne condotta a lui nella casa ove dimorava. Questa, digrignando i denti e con lo sguardo bieco, emetteva grida orribili, come usano fare gli spiriti immondi. Parecchi cittadini, accorsi insieme, supplicavano il Santo di liberarla poiché da tanto tempo il nemico infernale la possedeva e tormentava in quella maniera, spaventando tutti con le sue urla. Francesco volle costatare se era opera del demonio o imbroglio della donna e le mandò innanzi un frate che stava con lui. Quella avvertì subito lo scambio di persona e si mise a proferire scherni e insulti. Ma quando comparve il Santo, che era rimasto nel frattempo nascosto a pregare, l'indemoniata, non potendo resistere alla sua virtù, si gettò per terra tremando e contorcendosi pietosamente. Francesco la chiamò a sé, dicendo: "Ti comando per obbedienza, spirito immondo, di uscire da costei!". E il diavolo l'abbandonò immediatamente, senza alcun male.
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Sia ringraziato Iddio onnipotente, che opera tutto in tutti! Tuttavia, siccome ci siamo proposti di narrare non tanto i miracoli, che dimostrano la santità ma non costituiscono la santità, bensì piuttosto lo specchio della sua vita esemplare, riprendiamo il racconto delle opere che gli meritarono la salvezza eterna, tralasciando i miracoli. anche perché sarebbe troppo lungo recensirli tutti.
CAPITOLO XXVII
PUREZZA E COSTANZA DEL SUO SPIRITO.
DISCORSO DAVANTI A PAPA ONORIO III.
AFFIDA SE STESSO E I SUOI ALLA PROTEZIONE
DEL CARDINALE UGOLINO, VESCOVO DI OSTIA
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71. L'uomo di Dio Francesco si era abituato a cercare non il proprio interesse, ma soprattutto quanto vedeva necessario alla salvezza del prossimo, e sopra ogni altra cosa desiderava di essere liberato dal corpo e stare con Cristo (Fil 1,23). Per questo il suo maggior impegno era di tenersi lontano dalle sollecitudini terrene, così che neppure per un istante la polvere mondana potesse fare ombra e turbare la luce e la pace della sua anima. Si rendeva insensibile a tutti i clamori esterni e, raccogliendo tutti i suoi sensi esteriori e dominando ogni movimento dell'anima, viveva assorto nel solo Signore. Come è detto della sposa nel Cantico dei Cantici: Nelle fenditure della roccia e nei nascondigli dei dirupi era la sua abitazione(Ct 2,14).
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Veramente con gioiosa devozione egli s'aggirava tra le dimore celesti, e in completo annientamento di sé, dimorava a lungo come nascosto nelle piaghe del Salvatore. Perciò cercava luoghi solitari per poter lanciare completamente la sua anima in Dio; tuttavia, quando c'era bisogno, non esitava un istante a passare all'azione per giovare alle anime e alla vita dei fratelli.
Suo porto sicuro era la preghiera non di qualche minuto, o vuota, o pretenziosa, ma profondamente devota, umile e prolungata il più possibile. Se la iniziava la sera, a stento riusciva a staccarsene il mattino. Era sempre intento alla preghiera, quando camminava e quando sedeva, quando mangiava e quando beveva. Di notte si recava, solo, nelle chiese abbandonate e sperdute a pregare; così, con la grazia del Signore, riusciva a trionfare di molti timori e di angustie spirituali.
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72. In quei luoghi doveva lottare corpo a corpo col demonio, che l'affrontava per spaventarlo non solo con tentazioni interiori, ma anche esteriormente con strepiti e rovine. Ma Francesco, da fortissimo soldato di Cristo, ben sapendo che il suo Signore poteva tutto dovunque, non si lasciava per nulla intimorire, ma ripeteva in cuor suo: "Non puoi, o maligno, scatenare contro di me le armi della tua malizia, in questi luoghi più di quanto mi faresti se fossimo tra la folla ".
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Era veramente fermo e costante nel bene, e null'altro cercava se non di compiere la volontà di Dio. F. infatti quando anche predicava la parola del Signore davanti a migliaia di persone, era tranquillo e sicuro, come se parlasse con il suo fratello e compagno. Ai suoi occhi un'immensa moltitudine di uditori era come un uomo solo, e con la stessa diligenza che usava per le folle predicava ad una sola persona. Dalla purezza del suo cuore attingeva la sicurezza della sua parola, e anche invitato all'improvviso, sapeva dire cose mirabili e mai udite prima.
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Quando invece si preparava prima accuratamente il discorso, gli poteva accadere che al momento di pronunciarlo non ricordasse più una parola né altro poteva dire. Allora confessava a tutti candidamente e senza rossore che aveva preparato tante cose, ma le aveva tutte dimenticate. Ed ecco, all'improvviso parlava con tanta eloquenza da incantare gli uditori. Altre volte gli capitava di non riuscire a parlare affatto; allora congedava l'uditorio con la benedizione, e questo valeva più che se avesse tenuto una lunga predica.
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