giovedì 12 marzo 2015

SAN FRANCESCO E LE FONTI 1103--1116 LM

LEGGENDA MAGGIORE
( Vita di san Francesco d'Assisi )
di
SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO


1078 9. Intanto crescevano, nei piccolini di Cristo, le virtù e i meriti, diffondendo tutt'intorno il profumo della loro buona fama. Perciò molti accorrevano dalle varie parti del mondo, nel desiderio di vedere di persona il padre santo .
Fra gli altri, un estroso compositore di canzoni secolaresche, che era stato incoronato poeta dall'imperatore e da allora veniva chiamato re dei versi si propose di recarsi dall'uomo di Dio, così noto per il suo disprezzo degli onori mondani.
Lo trovò nel castello di San Severino, mentre predicava in un monastero; e allora la mano di Dio venne su di Iui mostrandogli in visione quel medesimo Francesco, che stava predicando sulla croce di Cristo, segnato da due spade splendentissime, disposte in forma di croce: una delle spade si estendeva dalla testa ai piedi e una da una mano alI'altra, attraverso il petto.
Egli non conosceva di faccia il servo di Cristo, ma lo riconobbe immediatamente, quando gli fu indicato da un così grande prodigio.
Stupefatto per quella visione, si propose subito di intraprendere una vita migliore e, infine, convertito dalla forza delle sue parole e come trafitto dalla spada dello spirito che usciva dalla sua bocca, si unì al beato padre mediante la professione, rinunciando totalmente agli onori vani del mondo.
Il Santo, vedendo che si era perfettamente convertito dall'inquietudine del mondo alla pace di Cristo, lo chiamò frate Pacifico.
1079 Frate Pacifico successivamente si perfezionò in ogni forma di santità e, prima di diventare ministro in Francia -- difatti egli fu il primo ad avere l'ufficio di ministro dei frati in quel paese -- meritò di vedere una seconda volta sulla fronte di Francesco un grande Tau, che illuminava e abbelliva meravigliosamente la sua faccia con singolare varietà di colori.
E in realtà il Santo nutriva grande venerazione ed affetto per il segno del Tau; lo raccomandava spesso nel parlare e lo scriveva di propria mano sotto le lettere che inviava, come se la sua missione consistesse, secondo il detto del profeta, nel segnare il Tau sulla fronte degli uomini che gemono e piangono, convertendosi sinceramente a Cristo.

1080 10. Quando, con l'andar del tempo, i frati erano ormai diventati molto numerosi, il premuroso pastore incominciò a radunarli nel luogo di Santa Maria della Porziuncola per il Capitolo generale, in cui poteva assegnare a ciascuno di loro una porzione di obbedienza nel regno dei poveri, secondo la misura voluta da Dio.
Alla Porziuncola vi era penuria d'ogni cosa; ma, benché qualche volta vi convenisse una moltitudine di oltre cinquemila frati, non mancò mai l'aiuto della Bontà divina, che procurava il sufficiente per tutti e a tutti concedeva la salute del corpo e sovrabbondante gioia di spirito.
1081 Ai capitoli provinciali, invece, egli non poteva essere 1081 presente di persona; ma si preoccupava di rendersi presente con sollecite direttive, con la preghiera insistente e con la sua efficace benedizione.
Qualche volta, però, in forza di quella virtù divina che opera meraviglie, vi compariva anche in forma visibile. Durante il Capitolo di Arles, Antonio, allora insigne predicatore ed ora glorioso confessore di Cristo, stava predicando ai frati, servendosi come tema dell'iscrizione posta sulla croce: “ Gesù Nazareno, re dei Giudei ”. Ebbene un frate di virtù sperimentata, di nome Monaldo, si mise, per ispirazione divina, a guardare verso la porta della sala capitolare e vide con i suoi propri occhi il beato Francesco che, stando librato nell'aria con le mani stese in forma di croce, benediceva i frati. Tutti i frati, a loro volta, si sentirono ripieni di una consolazione spirituale così grande e così insolita che la ritennero una testimonianza con la quale lo Spirito li assicurava che il padre santo era veramente in mezzo a loro.
Il fatto, però, in seguito venne comprovato non solo da attestazioni sicure, ma anche dalla testimonianza dell stesso san Francesco.
Evidentemente quella forza onnipotente di Dio che concesse al santo vescovo Ambrogio di essere presente alla tumulazione del glorioso vescovo Martino, perché con pio ossequio potesse venerare il pio pontefice, rese presente anche il suo servo Francesco alla predica del suo verace araldo Antonio, perché potesse confermare la verità delle sue parole e in particolare di quelle che riguardavano la croce di Cristo, di cui egli era alfiere e ministro.

1082 11. Ormai l'Ordine si era molto esteso e perciò Francesco si proponeva di far confermare in perpetuo da papa Onorio la forma di vita già approvata dal suo predecessore, papa Innocenzo. Dio lo incoraggiò in questo proposito mediante una rivelazione.
In questo modo: gli sembrava di aver raccolto da terra delle minutissime briciole di pane, per distribuirle a molti frati affamati, che gli stavano intorno. Aveva timore che, nel distribuirle, quelle briciole così piccole non gli cadessero magari di mano. Ma una voce dall'alto gli disse: “ Francesco, con tutte queste briciole, fa un'ostia sola e porgi a chi vorrà mangiare ”.
Mentre egli così faceva, tutti quelli che non ricevevano il dono con devozione, oppure, dopo averlo ricevuto, Io disprezzavano, subito si distinguevano dagli altri, perché diventavano lebbrosi.
Al mattino, il Santo raccontò la visione ai compagni, rammaricandosi di non afferrarne il significato.
Ma il giorno seguente, mentre pregava con grande perseveranza, sentì venire dal cielo questa voce: “ Francesco, le briciole che hai visto la notte scorsa sono le parole del Vangelo; I'ostia è la Regola; la lebbra è l'iniquità ”.
1083 Seguendo le indicazioni avute in visione, volle, prima di farla approvare, ridurre a forma più compendiosa la Regola, che aveva steso con lunghe e abbondanti citazioni del Vangelo.
1084 Perciò, guidato dallo Spirito Santo, salì su un monte con due compagni e là, digiunando a pane ed acqua, dettò la Regola, secondo quanto gli suggeriva lo Spirito divino durante la preghiera.
Disceso dal monte, la affidò da custodire al suo vicario. Ma siccome questi, pochi giorni dopo, gli disse che l'aveva perduta per trascuratezza, il Santo tornò di nuovo nella solitudine e subito la rifece in tutto uguale alla precedente, come se ricevesse le parole dalla bocca di Dio. Ottenne, poi, che venisse confermata, come aveva desiderato, dal sopraddetto papa Onorio, nell'ottavo anno del suo pontificato .
Per stimolare i frati ad osservarla con fervore, diceva che lui non ci aveva messo niente di proprio, ma tutto aveva fatto scrivere così come gli era stato rivelato da Dio.
1085 E perché questo risultasse con maggior certezza attraverso la testimonianza di Dio stesso, passati soltanto alcuni giorni, gli furono impresse le stimmate del Signore Gesù dal dito del Dio vivente. Le stimmate in un certo senso, erano la bolla del sommo pontefice Cristo, che confermava in tutto e per tutto la Regola e in tutto faceva l'elogio del suo autore.
Ma di questo parleremo più innanzi, dopo aver trattato delle virtù del nostro Santo.



CAPITOLO V


VITA AUSTERA.
IN CHE MODO LE CREATURE LO CONFORTAVANO



1086 1. Francesco, I'uomo di Dio, vedeva che per il suo esempio moltissimi si sentivano spinti a portare la croce di Cristo con grande fervore e, perciò, si sentiva animato lui stesso, da buon condottiero dell'esercito di Cristo, a conquistare vittoriosamente la cima della virtù. Per realizzare quelle parole dell'Apostolo: “ Coloro che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con i vizi e le concupiscenze ”, e portare nel proprio corpo l'armatura della croce, respingeva gli stimoli dei sensi con una disciplina così rigorosa, che a stento si concedeva il necessario per il sostentamento.
Diceva che è difficile soddisfare alle esigenze del corpo senza acconsentire alle basse tendenze dei sensi.
Per questa ragione, a malincuore e raramente, quando era sano, si cibava di vivande cotte e, quando se le permetteva, o le manipolava con la cenere o ne rendeva scipito il sapore e il condimento, mescolandovi, per lo più, dell'acqua.
E come parlare di vino, se a malapena, quando si sentiva bruciare dalla sete, osava dissetarsi con l'acqua?
Scopriva le tecniche di un'astinenza sempre più rigida e le accresceva di giorno in giorno con l'esercizio. Quasi fosse sempre un principiante nella via della perfezione, benché ormai ne toccasse la vetta, trovava sempre nuovi mezzi per castigare la concupiscenza.
1087 Quando, però, usciva nel mondo a predicare la parola del Vangelo, mangiava gli stessi cibi di coloro che gli davano ospitalità; ma, tornando in casa, praticava inflessibilmente una rigorosa parchezza ed astinenza.
Così, austero verso se stesso, umano verso il prossimo, soggetto in ogni cosa al Vangelo, era di esempio e di edificazione, non solo con l'astinenza ma anche nel mangiare.
Letto per il suo corpicciolo affaticato era, per lo più, la nuda terra; molto spesso dormiva seduto, con un legno o un sasso sotto il capo. Vestito di una sola tonachetta poverella, serviva al signore in freddo e nudità.

1088 2. Gli chiesero, una volta, come potesse, con un vestito così leggero, difendersi dai rigori dell'inverno.
Pieno di fervore spirituale, rispose: “ Se il nostro cuore bruciasse per il desiderio della patria celeste, facilmente sopporteremmo questo freddo esteriore ”.
Aveva in orrore i vestiti morbidi,. prediligeva quelli ruvidi e affermava che, proprio per i suoi vestiti ruvidi, Giovanni Battista era stato lodato dalla bocca stessa di Dio.
Se per caso gli davano una tonaca, che a lui pareva soffice, la intesseva all'interno con delle funicelle, dicendo: le vesti morbide, secondo la parola della Verità, si devono cercare non nelle capanne dei poveri, ma nei palazzi dei principi.
Aveva imparato, per sicura esperienza, che i demoni vengono intimoriti dalle asprezze, mentre dalle mollezze e dalle delicatezze prendono animo per tentare più baldanzosamente .
1089 Una notte, contrariamente al solito, si era coricato con un cuscino di piume sotto la testa, a causa della sua malattia al capo e agli occhi. Ma il demonio, entrato nel cuscino, tormentò il Santo in molte maniere, stornandolo dalla santa orazione, per tutta la notte, finché al mattino egli poté chiamare il compagno e ordinargli di portare il guanciale fuori dalla cella e di gettarlo ben lontano, insieme col demonio .
Quanto al frate, come fu uscito dalla cella con il cuscino, perse le forze e rimase totalmente paralizzato. E solo quando si sentì chiamare indietro dalla voce del padre santo, che aveva visto tutto in ispirito, ricuperò completamente le forze fisiche e la sensibilità.

1090 3. Come una sentinella sulla torre di guardia, vigilava con rigorosa disciplina e somma cura per custodire la purezza del corpo e dello spirito.
A questo scopo, nei primi tempi della sua conversione, durante l'inverno si immergeva, per lo più, in una fossa piena di ghiaccio, sia per assoggettare perfettamente il nemico di casa sia per preservare la candida veste della pudicizia dal fuoco della passione.
Affermava che un uomo spirituale trova incomparabilmente più sopportabile il freddo del corpo, anche il più rigido, che non il fuoco della concupiscenza, per piccolo che sia.

1091 4. Una notte, mentre stava pregando in una celluzza dell'eremo di Sarteano, I'antico nemico lo chiamò per tre volte: “ Francesco, Francesco, Francesco! ”. Gli rispose chiedendo che cosa volesse; e quello, ipocritamente: “ Non c'è nessun peccatore al mondo, al quale Dio non usi misericordia, se si converte. Ma chiunque si uccide da se stesso con le sue dure penitenze, non troverà misericordi a in eterno ”.
L'uomo di Dio, intuì immediatamente, per rivelazione, I'inganno del nemico, che tentava di richiamarlo alla tiepidezza e ne ebbe la conferma da quello che avvenne subito dopo.
Infatti sentì divampare dentro di sé una grave tentazione sensuale, alimentata dal soffio di quel tale che ha un fiato ardente come brace. Non appena ne avvertì le avvisaglie, l'amante della castità si tolse l'abito e incominciò a flagellarsi molto forte con una corda.
“ Ehilà, diceva, frate asino, così ti conviene restare, così prenderti le battiture. Perché la tonaca serve alla religione e porta in sé il sigillo della santità: non è lecito, a un libidinoso rubarla. Se vuoi andare in qualche posto, va pure cammina! ".
Poi, animato da meraviglioso fervore di spirito, spalancò la cella, uscì fuori nell'orto e, immergendo nella neve alta il corpicciolo già denudato e prendendo neve a piene mani, incominciò a fabbricare sette blocchi. E mettendoseli davanti, così parlava al suo uomo esteriore: “ Ecco, questo blocco più grande è tua moglie, questi quattro sono due figli e due figlie; gli altri due sono un servo e una serva, che bisogna tenere per le necessità di casa. Adesso, spicciati a vestirli tutti, perché muoiono di freddo. Se, invece, le molte preoccupazioni che loro ti danno, ti infastidiscono, datti da fare per servire soltanto al Signore! ”.
Subito il tentatore se ne andò via sconfitto, e il Santo ritornò nella cella con la vittoria in mano. Si era raggelato ben bene al di fuori, ma nel suo interno aveva estinto il fuoco della passione così efficacemente che d'allora in poi non provò mai più niente di simile.
Un frate, che quella stessa notte vegliava in preghiera, siccome la luna camminava assai chiara nel cielo, poté osservare tutta quanta la scena. Quando il Santo lo venne a sapere, svelò al frate come la tentazione si era svolta e gli comandò di non far saper niente a nessuno di quanto aveva visto, finché egli era vivo.

1092 5. Insegnava che bisogna non solo mortificare le passioni della carne e frenarne gli stimoli, ma anche custodire con somma vigilanza gli altri sensi, attraverso i quali la morte entra nell'anima.
Comandava di evitare molto accuratamente la familiarità, i colloqui e la vista delle donne, perché per molti son occasione di rovina. “ Son queste le cose--asseriva--che molte volte spezzano gli spiriti deboli e indeboliscono i forti. Riuscire ad evitare il contagio delle donne, per uno che si intrattiene con loro, è tanto difficile, quanto camminare nel fuoco e non bruciarsi i piedi, come dice la Scrittura. A meno che si tratti di un individuo esperimentatissimo ”.
Quanto a lui, aveva distolto gli occhi per non vedere simili vanità, con tanto impegno che, come disse una volta al suo compagno, non conosceva di faccia quasi nessuna donna.
Riteneva rischioso lasciare che la fantasia assorba la loro immagine e la loro fisionomia, perché questo può ridestare il focherello della carne, anche se ormai domata, o macchiare il nitore della pudicizia interiore.
Asseriva pure che la conversazione con le donne è frivolezza, salvo unicamente che si tratti di confessione o di consigli circa la salvezza dell'anima, dati in forma molto breve e secondo le norme del decoro.
“ Quali affari--diceva--dovrebbe trattare un religioso con una donna, se si eccettua il caso in cui essa gli domandi devotamente la penitenza o suggerimenti per una vita migliore? Se ci si sente troppo sicuri, si sta meno in guardia dal nemico, e il diavolo, quando può afferrare un uomo per un capello, presto lo ingrossa e lo fa diventare una trave ”.

1093 6. L'ozio, poi, sentina di tutti i pensieri malvagi, insegnava che lo si deve fuggire con somma cura e, mediante il suo esempio, mostrava che la carne ribelle e pigra si doma con discipline continue e fruttuose fatiche.
In questo senso chiamava il suo corpo “ frate asino ”, indicando che va sottoposto a compiti faticosi, va percosso con frequenti battiture e sostentato con foraggio di poco prezzo.
Se, poi, notava qualcuno ozioso e bighellone, che voleva mangiare sulle fatiche degli altri, lo faceva denominare “ frate mosca ”, perché costui, non facendo niente di buono e sporcando le buone azioni degli altri, si rende vile e abominevole a tutti.
Perciò una volta disse: “ Voglio che i miei frati lavorino e si tengano esercitati. Così non andranno in giro, oziando con il cuore e con la lingua, a pascersi di cose illecite”.
1094 Voleva che i frati osservassero il silenzio indicato dal Vangelo, cioè che in ogni circostanza evitassero accuratamente ogni parola oziosa, di cui nel giorno del giudizio dovranno rendere ragione.
Se trovava qualche frate incline ai discorsi inutili, lo redarguiva con asprezza, affermando che il modesto tacere custodisce la purezza del cuore e non è virtù da poco, se è vero, come dice la Scrittura, che morte e vita si trovano in potere della lingua, intesa come organo non del gusto, ma della parola.

1095 7. Benché, poi, con tutte le sue forze stimolasse i frati ad una vita austera, pure non amava quel1a severità intransigente che non riveste viscere di pietà e non è condita con il sale della discrezione.
Un frate, a causa dei digiuni eccessivi, una notte non riusciva assolutamente a dormire, tormentato com'era dalla fame. Comprendendo il pietoso pastore che la sua pecorella si trovava in pericolo, chiamò il frate, gli mise davanti un po' di pane e, per evitargli il rossore, incominciò a mangiare lui per primo, mentre con dolcezza invitava l'altro a mangiare.
Il frate scacciò la vergogna e prese il cibo con grandissima gioia, giacché, con la sua vigilanza e la sua accondiscendenza, il Padre gli aveva evitato il danno del corpo e gli aveva offerto motivo di grande edificazione.
Al mattino, I'uomo di Dio radunò i frati e, riferendosi a quanto era successo quella notte, aggiunse questo provvido ammonimento: “ A voi, fratelli, sia di esempio non il cibo, ma la carità ”.
Li ammaestrò, poi, a seguire sempre nella corsa alla virtù, la discrezione che ne è l'auriga; non la discrezione consigliata dalla prudenza umana, ma quella insegnata da Cristo con la sua vita santissima, che certamente è il modello dichiarato della perfezione.

1096 8. L'uomo, rivestito dell'infermità della carne, non può - egli diceva - seguire l'Agnello immacolato con una purezza così perfetta che lo preservi da qualsiasi sozzura. Perciò quanti attendono alla perfezione devono purificarsi ogni giorno col lavacro delle lacrime. E ne dava lui stesso la dimostrazione.
Benché avesse già raggiunto una meravigliosa purezza di cuore e di corpo, non cessava di purificare gli occhi del suo spirito con un profluvio di lacrime, senza badare al danno che ne subivano gli occhi del corpo. Infatti, in conseguenza del continuo piangere, aveva contratto una gravissima malattia agli occhi. Perciò ii medico cercava di persuaderlo a desistere dal piangere, se voleva sfuggire alla cecità .
Ma il Santo replicava: “ O fratello medico, non si deve, per amore della vista che abbiamo in comune con le mosche, allontanare da noi, neppure in piccola misura, la luce eterna, che viene a visitarci. Il dono della vista non l'ha ricevuto lo spirito per il bene del corpo, ma l'ha ricevuto il corpo per il bene dello spirito ”.
Preferiva, evidentemente, perdere la luce degli occhi, piuttosto che soffocare la devozione dello spirito, frenando le lacrime, che mondano l'occhio interiore e lo rendono capace di vedere Dio.

1097 9. Una volta i medici lo consigliarono, e i frati lo esortarono insistentemente, ad accettare di farsi curare gli occhi mediante la cauterizzazione. L'uomo di Dio accondiscese umilmente, ritenendo che l'operazione era salutare e dolorosa nello stesso tempo. Chiamarono, dunque, il chirurgo. Venne e immerse nel fuoco lo strumento di ferro per la cauterizzazione.
Ma il servo di Cristo, confortando il corpo già scosso e inorridito, si mise a parlare col fuoco, come con un amico, e gli disse: “ O mio fratello fuoco, I'Altissimo ti ha creato splendido e invidiabile per tutte le altre creature, forte, bello ed utile. In questo momento sii buono con me, sii gentile. Io prego il grande Signore che ti ha creato, perché moderi per me il tuo calore. Così tu brucerai dolcemente ed io riuscirò a sopportarti ”. Finita la preghiera, tracciò il segno della croce sopra il ferro ormai incandescente--e se ne stava intrepido in attesa.
Il ferro sprofondò crepitando nel~a tenera carne, mentre la cauterizzazione veniva estesa dall'orecchio fino al sopracciglio. Quanto sia stato intenso il dolore che il fuoco gli inflisse, lo dichiarò il Santo stesso, dicendo ai frati: “ Lodate l'Altissimo, perché, dico la verità, non ho sentito né il calore del fuoco né alcun dolore nella carne ”. E volgendosi al medico: “ Se la carne non è ancora cotta bene, scava pure un'altra volta ”.
Quel medico sperimentato, ammirando come un miracolo divino quella forza di spirito così sublime, in quella 6 carne così debole, esclamò: “ O frati, vi dico che oggi ho visto meraviglie ”.
1098 Francesco, in realtà, aveva raggiunto tale purezza che il suo corpo si trovava in meravigliosa armonia con lo spirito e lo spirito in meravigliosa armonia con Dio. Perciò avveniva, per divina disposizione, che la creatura, servendo al suo Fattore, sottostava in modo mirabile alla volontà e ai comandi del Santo.

1099 10. Un'altra volta il servo di Dio si trovava nell'eremo di Sant'Urbano, tormentato da una malattia gravissima. Sentendosi venir meno, chiese un po' di vino.
Gli risposero che non potevano portarglielo, perché non ce n'era assolutamente. Allora egli comandò di portargli dell'acqua; poi la benedisse col segno della croce. Subito diventa vino ottimo quella che prima era acqua pura.
Così la purità del Santo ottenne ciò che la povertà del luogo non poté offrire.
Come ebbe bevuto quel vino, egli si ristabilì immediatamente e con estrema facilità.
Un cambiamento miracoloso e una miracolosa guarigione: due prodigi che avevano trasformato sia la bevanda sia colui che aveva bevuto. Erano due modi per indicare quanto perfettamente ormai Francesco si era spogliato delI'uomo vecchio e si era trasformato nell'uomo nuovo.

1100 11 Ma non soltanto la creatura si piegava al cenno del servo di Dio: anche il provvido Creatore di tutte le cose accondiscendeva ai suoi desideri.
Una volta il Santo, prostrato da molte malattie insieme, sentì il desiderio di un po' di bella musica, che gli ridonasse la gioia dello spirito.
Convenienza e decoro non permettevano che ciò avvenisse ad opera degli uomini -- e allora intervennero gli Angeli compiacenti a realizzare il suo desiderio.
Infatti, una notte, mentre vegliava in meditazione, improvvisamente sentì una cetra suonare con un'armonia meravigliosa e una melodia dolcissima. Non si vedeva nessuno, ma si avvertiva benissimo l'andare e venire del citaredo dal variare del suono, che ora proveniva da una parte ed ora dall'altra.
Rapito in Dio, a quel canto melodioso, fu invaso da tanta dolcezza che credette di trovarsi nell'altro mondo.
L'avvenimento non sfuggì ai frati suoi familiari. Essi, d'altronde, sapevano da indizi sicuri che il Signore veniva spesso a visitarlo, donandogli consolazioni così sovrabbondanti che non riusciva a tenerle completamente nascoste.

1101 12. In un'altra circostanza, l'uomo di Dio era in viaggio col compagno per motivi di predicazione, tra la Lombardia e la Marca Trevigiana. Sopraggiunse la notte, mentre si trovavano vicino al Po.
Siccome la strada era piena di pericoli, a causa del buio, del fiume e delle paludi, il compagno disse al Santo: “ O Padre, prega Dio, che ci faccia scampare dai pericoli ”.
L'uomo di Dio, con molta fiducia, gli rispose: “ Dio può, se piace alla sua cortesia, fugare le tenebre e donarci la luce benefica ”.
Aveva appena finito di parlare, che l'Onnipotente fece risplendere intorno a loro una luce grandissima, tanto che, mentre nelle altre parti persisteva l'oscurità della notte, potevano distinguere con chiarezza non soltanto la strada, ma anche moltissimi oggetti tutt'intorno. Ben indirizzati e spiritualmente confortati da quella luce, percorsero un lungo cammino, fra inni e canti di lode al Signore, finché giunsero all'ospizio.
1102 Valuta bene quale meravigliosa purezza e quale virtù abbia raggiunto quest'uomo, al cui cenno il fuoco modera il suo calore, I'acqua cambia sapore, gli Angeli offrono il conforto delle loro melodie e la luce divina dona la sua guida.
Sembra davvero che tutta la macchina del mondo si metta al servizio dei sensi, ormai così santificati, di quest'uomo santo.



CAPITOLO VI

UMILTA' E OBBEDIENZA.
ACCONDISCENDENZA DI DIO Al SUOI DESIDERI


1103 1. L'umiltà, custode e ornamento di tutte le virtù, aveva ricolmato l'uomo di Dio di beni sovrabbondanti.
A suo giudizio, egli non era altro che un peccatore, mentre nella realtà era specchio e splendore della santità, n tutte le sue forme.
Da architetto avveduto, egli volle edificare se stesso sul fondamento dell'umiltà, come aveva imparato da Cristo.
Il Figlio di Dio--egli diceva--lasciando il seno del Padre, è disceso dall'altezza dei cieli fino alla nostra miseria proprio per insegnarci, Lui Signore e Maestro, l'umiltà sia con l'esempio sia con la parola.
Per questo si studiava, in quanto discepolo di Cristo, di sminuirsi agli occhi propri ed altrui, ricordando quanto il sommo Maestro ha detto: Ciò che è in onore fra gli uomini è abominazione davanti a Dio. Ma usava anche ripetere questa massima: “ Un uomo è quanto è agli occhi di Dio, e non più ".
Di conseguenza, giudicando una stoltezza esaltarsi per la stima della gente del mondo, godeva nelle umiliazioni e si rattristava per le lodi.
Sul proprio conto preferiva sentire insulti invece di lodi, perché sapeva che l'insulto spinge ad emendarsi; la lode, a cadere.
E perciò spesso, quando la gente esaltava i suoi meriti e la sua santità, comandava a qualche frate di dirgli, cacciandogliele bene dentro le orecchie, frasi che lo umiliavano e mortificavano.
E quando quel frate, benché contro voglia, lo chiamava paesano, mercenario, inetto e inutile, egli, lieto in cuore come in volto, rispondeva: “ Il Signore ti benedica figlio carissimo, perché tu dici proprio la verità. Queste son le parole che van bene per il figlio di Pietro Bernardone >>.

1104 2. Per guadagnarsi il disprezzo degli altri, raccontava davanti a tutta la gente i propri difetti e non permetteva che la vergogna gli impedisse simili confessioni. Una volta, a causa di una grave malattia, aveva allentato un poco la sua rigorosa astinenza, per ricuperare la salute.
Quand'ebbe in qualche modo riacquistato le forze, il vero dispregiatore di sé, ben deciso ad umiliare se stesso, disse: “ Non è giusto che la gente mi creda un digiunatore, mentre io mi rifaccio di nascosto mangiando la carne ”. Così, infiammato dallo spirito della santa umiltà si alzò radunò il popolo di Assisi nella piazza ed entrò con grande solennità nella cattedrale, scortato da molti frati. Si legò una corda al collo e, nudo, con le sole mutande, si fece trascinare, sotto gli occhi di tutti, fino alla pietra su cui di solito venivano messi i delinquenti.
Salito sulla pietra, benché scosso dalla quartana e privo di forze, con quel freddo pungente, predicò con grande vigore e dichiarò a tutti quanti gli ascoltatori che non dovevano stimarlo un uomo spirituale, ma che, anzi, tutti dovevano disprezzarlo come un uomo carnale e un ghiottone.
Tutti i convenuti, a uno spettacolo così impressionante, furono pieni di meraviglia, perché conoscevano bene la vita austera di quell'uomo, e, profondamente commossi dicevano apertamente che una umiltà come quella si poteva, sì, ammirare, ma non certo imitare.
Veramente questo fatto, anzi che un esempio, può sembrare un segno, come quello che troviamo nel profeta Isaia. Ma in realtà fu una dimostrazione di umiltà perfetta, che insegna al seguace di Cristo la necessità di disprezzare gli elogi e le lodi passeggere, di reprimere il gonfiore e l'arroganza dell'ostentazione e di smascherare le menzogne frodolente dell'ipocrisia.

1105 3. Faceva molto spesso azioni di questo genere, in modo da sembrare, all'esterno, un vaso di perdizione e, così possedere, dentro di sé, lo spirito di santificazione.
Spesso, quando le folle lo osannavano, diceva così: “ Potrei ancora avere figli e figlie: non lodatemi come se fossi già sicuro! Non si deve lodare nessuno, quando non si sa come andrà a finire ”.
Così diceva ai suoi ammiratori, e a se stesso, invece: “ Se l'Altissimo avesse dato ad un brigante tutti questi doni così grandi, o Francesco, lui sarebbe più riconoscente di te ”.
Diceva spesso ai frati: “ Nessuno deve illudere se stesso, autoesaltandosi ingiustamente, per cose che può fare anche un peccatore. Difatti un peccatore può digiunare, pregare, piangere e macerare la propria carne. Questo solo non può fare: essere fedele al suo Signore. Dunque noi dobbiamo gloriarci solo in questo caso: se rendiamo a Dio la gloria che è sua; se lo serviamo con fedeltà; se ascriviamo a Lui, tutto quello di cui ci fa dono ”.

1106 4. Questo mercante evangelico, allo scopo di fare guadagni in molti modi e di organizzare tutto il tempo della vita in funzione del merito, preferì non comandare, ma obbedire.
Per tale motivo rinunciò all'ufficio di ministro generale, e chiese un guardiano, alla cui volontà sottostare in tutto.
Il frutto della santa obbedienza--affermava--è così abbondante, che nessuna frazione di tempo trascorre 'senza guadagno, per quanti sottomettono il collo al suo giogo. Per questa ragione aveva l'abitudine di promettere sempre obbedienza al frate, col quale andava in viaggio, e di osservarla.
Disse una volta ai compagni: “ Tra le altre grazie che, per sua degnazione, la divina misericordia mi ha concesso, vi è questa: che io sono disposto ad obbedire con uguale sollecitudine a uno che fosse novizio da un'ora, qualora mi venisse dato per guardiano, e al frate più vecchio e più prudente. Il suddito -- aggiungeva -- non deve vedere nel suo prelato un uomo, ma Colui per amore del quale accetta di obbedire. E quanto più è spregevole chi comanda, tanto più piace l'umiltà di chi obbedisce ”.
1107 Quando una volta gli domandarono: chi deve essere ritenuto un vero frate minore?, egli portò l'esempio del cadavere.
“ Prendi un corpo morto--disse--e mettilo dove ti pare e piace. E vedrai che, se lo muovi, non si oppone; se lo lasci cadere, non protesta. Se lo metti in cattedra, non guarderà in alto, ma in basso. Se gli metti un vestito di porpora, sembrerà doppiamente pallido. Questo è il vero obbediente: chi non giudica il perché lo spostano; non si cura del luogo a cui vien destinato; non insiste per essere trasferito; eletto ad un ufficio, mantiene la solita umiltà; quanto più viene onorato, tanto più si ritiene indegno ”.

1108 5. Disse una volta al suo compagno: “ Non mi sembrerà di essere frate minore, se non sarò nello stato che ora sto per descriverti. Ecco: io sono superiore dei frati e vado al capitolo; predico ed ammonisco i frati--e alla fine loro si mettono a dire contro di me: " Non sei adatto per noi: non sei istruito, non sai parlare, sei idiota e semplice ! " . Alla fine vengo scacciato ignominiosamente, tra le ingiurie di tutti. Ti dico: se non ascolterò tutto questo con la stessa faccia, con la stessa allegrezza di spirito e con lo stesso proposito di santità, non sono per niente un frate minore ”.
1109 E aggiungeva: “ Nella prelatura, la caduta; nella lode, 1109 il precipizio; nell'umile stato di suddito, il guadagno per l'anima Come mai, allora, siamo più portati al pericolo che al guadagno, dal momento che il tempo della vita ci è stato concesso per guadagnare? ”.
Proprio per questo motivo Francesco, modello di umiltà, volle che i suoi frati si chiamassero Minori e che i prelati del suo Ordine avessero il nome di ministri. In questo modo egli si serviva delle parole contenute nel Vangelo, che aveva promesso di osservare, mentre i suoi discepoli, dal loro stesso nome, apprendevano che erano venuti alla scuola di Cristo umile, per imparare l'umiltà.
Difatti Cristo Gesù, il maestro dell'umiltà, allo scopo di formare i discepoli all'umiltà perfetta, disse: Chiunque tra voi vorrà essere il maggiore, sia vostro ministro, e chiunque, tra voi, vorrà essere il primo, sarà vostro servo.
1110 Il vescovo di Ostia, -- primo protettore e promotore dell'Ordine dei frati minori, che in seguito, secondo la predizione del Santo, fu elevato all'onore del sommo pontificato, col nome di Gregorio IX -- chiese un giorno a Francesco se gradiva che i suoi frati accedessero alle dignità ecclesiastiche. Il Santo rispose: “ Signore, i miei frati sono stati chiamati minori proprio per questa ragione: che non presumano di diventare maggiori. Se volete che facciano frutto nella Chiesa di Dio, teneteli e conservateli nello stato della loro vocazione e non permettete assolutamente che ascendano alle prelature ecclesiastiche”.

1111 6. Francesco, tanto in se stesso quanto negli altri, preferiva l'umiltà a tutti gli onori e perciò quel Dio, che ama gli umili, lo giudicava degno della gloria più eccelsa, come mostrò la visione avuta da un frate assai virtuoso e devoto.
Questo frate, compagno di viaggio dell'uomo di Dio, pregando una volta con lui in una chiesa abbandonata, venne rapito in estasi.
Vide nel cielo molti seggi e, tra essi, uno più splendido e glorioso di tutti gli altri, costellato di pietre preziose. Ammirando lo splendore di quel trono così eminente, cominciò a chiedersi ansiosamente chi mai fosse destinato ad occuparlo. In mezzo a questi pensieri, udì una voce che gli diceva: “ Questo seggio apparteneva a uno degli angeli ribelli ed ora è riservato per l'umile Francesco ”. Ritornato finalmente in sé, dopo quella preghiera estatica, il frate seguì il Santo che stava uscendo dalla chiesa.
Ripresero il cammino, parlandosi a vicenda di Dio secondo la loro abitudine. e allora quel frate, che aveva la visione ben impressa nella mente, colse abilmente l'occasione per chiedere a Francesco che opinione aveva di se stesso .
E l'umile servo di Cristo gli disse: “ Mi sembra di essere il più gran peccatore ”. Il frate gli replicò che, in tutta coscienza, non poteva né pensare né dire una cosa simile. Ma il Santo spiegò: “ Se Cristo avesse trattato il più scellerato degli uomini con la stessa misericordia e bontà con cui ha trattato me, sono sicuro che quello sarebbe molto più riconoscente di me a Dio ”.
Ascoltando questi umili parole, il frate ebbe la conferma che la sua visione era veritiera, ben sapendo che, secondo la testimonianza del santo Vangelo, il vero umile verrà innalzato a quella gloria eccelsa, da cui il superbo viene respinto.

1112 7. Un'altra volta, mentre pregava in una chiesa deserta della provincia di Massa, presso Monte Casale, un'ispirazione gli rivelò che in quella chiesa erano rimaste delle sacre reliquie.
Vide, non senza dolore, che esse ormai da lungo tempo erano rimaste prive dell'onore loro dovuto e comandò ai frati di portarle al loro luogo con devozione.
Ma, siccome egli si era allontanato per urgente motivo, i figli dimenticarono l'incarico avuto dal Padre, e persero il merito dell'obbedienza. Un giorno, però, volendo celebrare i sacri misteri, appena tolgono il copritovaglia dell'altare, trovano delle ossa bellissime e stupendamente profumate: pieni di stupore, si vedono sotto gli occhi, portate dalla mano di Dio, le reliquie che gli uomini avevano dimenticato di trasferire.
Tornato dopo qualche tempo, I'uomo a Dio devoto, si informò premurosamente se avevano adempiuto quanto egli aveva comandato a proposito delle reliquie. I frati confessarono umilmente di avere, per loro colpa, trascurato l'obbedienza e si ebbero, insieme, la pena e il perdono. E il Santo disse: “ Benedetto il Signore, mio Dio, che ha voluto fare lui direttamente, quanto dovevate fare voi ”.
Considera attentamente la premura che ha la Provvidenza per il nostro corpo di polvere e valuta a fondo quanto fosse eccellente la virtù dell'umile Francesco, agli occhi di Dio, il quale si inchinò ai suoi desideri, allorché l'uomo non aveva obbedito ai suoi comandi.

1113 8. Una volta, giunto ad Imola, si presentò al vescovo della città e chiese umilmente il permesso di convocare, col suo beneplacito, il popolo per la predica.
Il vescovo gli rispose duramente: “ Frate, basto io per predicare al mio popolo ”.
Chinò il capo, il vero umile, ed uscì. Ma di lì a poco, eccolo di nuovo. Il vescovo, piuttosto adirato, gli domanda che cosa vuole ancora. Umile nella voce come nel cuore, egli risponde: “ Signore, se un padre caccia il figlio da una porta, il figlio non può che rientrare dall'altra ”.
Vinto dall'umiltà, il vescovo lo abbracciò e, con volto lieto, gli disse: “ Per l'avvenire tu e tutti i tuoi frati avete il mio generale permesso di predicare nella mia diocesi: la santa umiltà ve lo ha meritato ”.

1114 9. Gli capitò una volta di giungere vicino ad Arezzo, mentre l'intera città era sconvolta dalla guerra intestina e minacciava di distruggersi in breve tempo da se stessa. Dal sobborgo, dove era alloggiato come ospite, vide sopra la città una ridda di demoni che infiammavano i cittadini, già eccitati, alla reciproca strage. A scacciare quegli spiriti delI'aria, fomentatori della sedizione, inviò frate Silvestro, uomo semplice come una colomba, ingiungendogli: “ Vai davanti alla porta della città e, da parte di Dio onnipotente, comanda ai demoni, in virtù di obbedienza, di andarsene in fretta ”.
Corre, quel vero obbediente, a compiere i comandi del Padre, innalzando inni di lode alla presenza di Dio, e, giunto davanti alla porta della città, incomincia a gridare gagliardamente: “ Da parte di Dio onnipotente e per comando del suo servo Francesco, andatevene via, lontano da qui, o demoni tutti quanti! ”.
Immediatamente la città torna in pace e tutti i cittadini, in perfetta tranquillità, si adoperano a ripristinare fra loro i diritti della convivenza civile.
Così, scacciata la furibonda superbia dei demoni, che aveva assediato la città, circondandola di trincee, la sapienza del povero, cioè l'umiltà di Francesco, con il suo solo apparire, le restituì la pace e la salvò.
Infatti con l'ardua virtù dell'umile obbedienza Francesco aveva conseguito, sopra quegli spiriti ribelli e protervi, tale autorità e potere da permettergli di sgominare la loro ferocia e di mettere in fuga la loro dannosa violenza.

1115 10. I demoni superbi fuggono davanti alla eccelsa virtù degli umili, salvo in qualche caso in cui la divina clemenza permette che gli umili vengano schiaffeggiati, proprio per mantenerli in umiltà, come Paolo apostolo scrive di se stesso e come Francesco ha provato per esperienza diretta .
Il signor cardinale Leone di Santa Croce lo pregò con insistenza perché dimorasse per qualche tempo nel suo palazzo a Roma. Il Santo, per venerazione ed amore verso di lui, accettò umilmente.
Ma la prima notte, quando voleva riposare dopo l'orazione, i demoni lo aggredirono con un terribile assalto, percuotendolo a lungo, crudelmente, e lasciandolo, alla fine, mezzo morto.
Quando se ne furono andati, l'uomo di Dio chiamò il compagno e gli narrò l'accaduto, aggiungendo: “ Fratello, i demoni non hanno alcun potere, se non nel limite predisposto per loro dalla Provvidenza. Perciò io credo che mi hanno assalito così ferocemente, perché la mia permanenza nella curia dei magnati non fa una impressione buona. I miei frati che dimorano in luoghi poverelli, sentendo che io me ne sto con i cardinali, sospetteranno forse che mi sia invischiato nelle cose mondane, stando in mezzo agli onori e agli agi. Giudico, pertanto, che sia meglio, per chi viene posto come esempio, stare lontano dalle curie e trascorrere con umiltà la vita tra gli umili, in luoghi umili. Così egli sarà di conforto, vivendo nello loro stesse condizioni, per coloro che vivono in penuria ”.
Vanno, dunque, al mattino e, con umili scuse, danno l'addio al cardinale.

1116 11. Il Santo aveva in orrore la superbia. origine di tutti i mali, e la disobbedienza, sua pessima figlia: Accoglieva, però, di buon grado chi umilmente si pentiva.
Una volta gli fu presentato un frate, che aveva trasgredito i comandi dell'obbedienza, perché lo correggesse con il magistero del castigo.
Ma l'uomo di Dio notò da segni evidenti che quel frate era sinceramente pentito e perciò si sentì incline ad essere indulgente con lui, per amore della sua umiltà. Tuttavia, ad evitare che la facilità del perdono fosse per gli altri incentivo a mancare, comandò di togliere al frate il cappuccio e di gettarlo tra le fiamme, perché tutti potessero osservare quanta e quale vendetta esige la trasgressione contro l'obbedienza.
E dopo che il cappuccio era rimasto un bel pezzo nel fuoco, ordinò di levarlo dalle fiamme e di ridarlo al frate, umile e pentito.
Meraviglia: il cappuccio non aveva alcun segno di bruciatura !
Cosi avvenne che con questo solo miracolo Dio esaltò la potenza del Santo e l'umiltà del frate pentito.
Quanto è degna di essere imitata l'umiltà di Francesco, che anche sulla terra gli procurò una dignità così grande da piegare Dio ai suoi desideri, da trasformare completamente il cuore dell'uomo, da scacciare con un solo comando la protervia dei demoni e da frenare con un solo cenno la voracità delle fiamme.

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