sabato 11 aprile 2015

SAN FRANCESCO E LE FONTI 836 / 842




DALLE FONTI FRANCESCANE 836 / 842

TRATTATO DEI MIRACOLI
DI SAN FRANCESCO

DI Tommaso da Celano

CAPITOLO III
IL POTERE CHE EBBE SULLE CREATURE INSENSIBILI,
E SPECIALMENTE SUL FUOCO
836
14. Nel tempo in cui era afflitto dalla malattia degli occhi, i confratelli persuasero l'uomo di Dio ad accettare le cure; perciò venne chiamato al luogo dei frati un chirurgo. Costui portò con sé lo strumento di ferro per la cauterizzazione e ordinò di metterlo sul fuoco, fino a che non fosse reso incandescente. Al che il beato Padre, confortando il proprio corpo scosso dal timore, così si rivolse al fuoco: " Fratello mio fuoco, l'Altissimo ti ha creato per emulare in bellezza le altre cose, potente, bello e utile. Siimi favorevole in questo momento, siimi amico, poiché già ti ho amato nel Signore! Prego il grande Iddio che ti ha creato, che moderi il tuo calore in modo che ora io possa dolcemente sopportarlo ". Terminata l'orazione, benedisse con un segno di croce il fuoco e quindi, pieno di coraggio, attese. Mentre il ferro rovente e scintillante veniva afferrato dal chirurgo, i frati fuggirono vinti da umana paura e il Santo lieto e senza esitazione si sottopose al ferro. Il ferro crepitando penetrava nella morbida carne e venne fatta la cauterizzazione a tratti dall'orecchio al sopracciglio. Quanto quel fuoco abbia provocato dolore, ne è testimonianza la parola di colui che ne ebbe esperienza. Infatti, ritornati i frati che erano fuggiti, il Padre sorridendo disse: "Paurosi e deboli di cuore, perché mai siete fuggiti? In verità vi dico, non ho sentito né il calore del fuoco né alcun dolore della carne". E rivolto al medico: "Se la carne non è ben cotta, applica di nuovo il ferro!". Il medico, che conosceva ben altre conseguenze di simili operazioni, magnificò tale miracolo, esclamando: "Dico a voi, fratelli, ho visto oggi cose mirabili ". Era forse tornato alla primitiva innocenza colui al volere del quale si arrendevano ammansiti gli esseri indocili.
837
15. Il beato Francesco, desiderando qualche volta andare ad un eremo per attendere più liberamente alla contemplazione, poiché era molto debole, ottenne da un povero uomo un asino da cavalcare. Costui mentre saliva nella calura estiva per i viottoli montagnosi, seguendo l'uomo di Dio, è preso dalla fatica del lungo cammino su una strada troppo aspra e lunga, e, prima di arrivare alla meta, viene meno dalla sete. Si mette dunque a supplicare con insistenza il Santo che abbia pietà di lui, dicendo che sarebbe morto se non avesse bevuto qualche sorso d'acqua. Il santo di Dio, che sempre era compassionevole verso gli afflitti, senza indugio discese dall'asino e, piegate a terra le ginocchia, alzò le palme verso il cielo, non cessando di pregare, finché si sentì esaudito. "Affrettati, disse al contadino, e troverai acqua viva, che in questo istante Cristo misericordioso ha fatto sgorgare dalla pietra". Stupenda degnazione di Dio, che si china verso i suoi servi così facilmente!
Beve il contadino l'acqua sgorgata dalla pietra per virtù della preghiera del Santo e gustò una bevanda tratta dalla durissima roccia. Polla d'acqua in quel luogo non c'era mai stata, né in seguito si è mai potuta ritrovare, come dimostrano le ricerche diligentemente fatte.
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16. Gagliano è un paese popoloso e illustre in diocesi di Sulmona. In esso viveva una donna di nome Maria che, giunta alla conversione attraverso le difficili vie del mondo, si era dedicata totalmente al servizio di san Francesco.
Era salita un giorno su un monte, riarso per la totale mancanza d'acqua, con l'intenzione di potare gli aceri verdeggianti; aveva dimenticato di portare con sé l'acqua e, per il calore eccessivo, cominciò a venir meno per l'arsura della sete. Non potendo ormai far nulla e giacendo per terra esaurita, cominciò a invocare il suo patrono san Francesco. Affaticata si assopì. Ed ecco sopraggiungere san Francesco, che la chiamò col suo nome: "Alzati e bevi l'acqua che a te e a molti altri viene offerta quale dono di Dio". Sbadigliò la donna a tale voce e vinta dal sonno tornò a riposare. Chiamata ancora una volta, ancor molto stanca, rimase a terra sdraiata. La terza volta però, confortata al comando del Santo si alzò. E afferrando una felce vicina la estrasse dal terreno. Avendo allora scorto che la sua radice era tutta intrisa d'acqua, con le dita e con un piccolo ramoscello cominciò a scavare tutt'attorno. Subito la fossa si riempì d'acqua e la piccola goccia crebbe fino a divenire fonte. Bevve la donna e dissetata, si lavò gli occhi che, gravemente indeboliti da una lunga malattia, non potevano vedere nulla con chiarezza. Si illuminarono i suoi occhi e, sparita la rugosa vecchiezza si riempirono come di nuova luce. La donna si affrettò verso casa, per annunciare a tutti tale stupendo miracolo a gloria di san Francesco. Si diffuse la notizia del miracolo in altre regioni, giungendo alle orecchie di tutti. Accorsero da ogni parte molti colpiti da varie malattie che, fatta anzitutto la confessione per la salvezza dell'anima, vennero qui liberati dalle loro infermità. Infatti i ciechi riaquistarono la vista, gli zoppi ripresero a camminare, anche gli obesi divennero più snelli, e ad ogni infermità viene offerto il giusto rimedio. Ancora oggi dalla fonte prodigiosa l'acqua continua a sgorgare; è stato qui costruito un oratorio in onore di san Francesco.
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17. Nel periodo in cui era presso l'eremo di Sant'Urbano, il beato Francesco gravemente ammalato, con labbra aride, domandò un po' di vino, gli risposero che non ce n'era. Chiese allora che gli portassero dell'acqua e quando gliela ebbero portata la benedisse con un segno di croce. Subito l'acqua perse il proprio sapore, e ne acquistò un altro. Diventò ottimo vino quella che prima era acqua pura, e ciò che non poté la povertà, lo provvide la santità. Dopo averlo bevuto, quell'uomo di Dio si ristabilì molto in fretta e come la miracolosa conversione dell'acqua in vino fu la causa della guarigione, così la miracolosa guarigione testimoniava quella conversione.
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18. Nella provincia di Rieti era scoppiata una pestilenza molto grave che contagiava i bovini, tanto che solo qualche bue poteva sopravvivere. A un uomo timorato di Dio, di notte attraverso un sogno venne fatto sapere di recarsi con sollecitudine ad un eremo di frati per prendere l'acqua con cui si lavavano le mani e i piedi del beato Francesco, che allora là si trovava, per aspergere con essa tutti i bovini. Alla mattina levatosi quell'uomo, ben ansioso di ottenere il beneficio, venne al luogo indicato, e, all'insaputa del Santo, poté ottenere dagli altri frati quell'acqua, che poi asperse su tutti i bovini, come gli era stato comandato. Da quel momento cessò per grazia di Dio il pestilenziale contagio, né più riapparve in quella zona.
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19. In regioni diverse molte genti offrivano molto spesso a san Francesco con fervida devozione pane ed altri cibi perché li benedicesse.
Conservandosi questi per lungo tempo senza corrompersi, grazie all'intervento divino, se presi come cibo risanavano i corpi affetti da malattia. E stato anche provato infatti che per loro virtù furono allontanate violente tempeste di grandine e tuoni. Affermano alcuni di aver constatato che, per virtù del cordone che egli cingeva e delle pezzuole scucite dai suoi abiti, sono stati scacciati i morbi e fugate le febbri, recuperando così la tanto desiderata salute.
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Celebrando il Santo, il giorno della Natività del Signore, la memoria del presepio del bambino di Betlemme, e rievocando misticamente tutti i particolari dell'ambiente nel quale nacque il bambino Gesù, molti prodigi si manifestarono per intervento divino. Fra questi vi è quello del fieno sottratto a quella mangiatoia, che divenne rimedio alle infermità di molti e che fu utile particolarmente alle partorienti in difficoltà e a tutti gli animali contagiati da epidemie.
Avendo narrato tutto ciò delle creature insensibili, aggiungiamo ora qualcosa sull'obbedienza prestata dalle creature sensibili.

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