F.F. 710
Al tempo in cui soggiornava a Rieti per la cura degli occhi (San Francesco) chiamò un compagno che, prima d'essere religioso, era stato suonatore di cetra, e gli disse:
«Fratello, i figli di questo mondo non comprendono i piani di Dio.
Perché anche gli strumenti musicali, che un tempo erano riservati alle lodi di Dio, sono stati usati dalla sensualità umana per soddisfare gli orecchi.
Io vorrei, fratello, che tu in segreto prendessi a prestito una cetra, e la portassi qui per dare a frate corpo, che è pieno di dolori, un po' di conforto con qualche bel verso».
Gli rispose il frate:
«Mi vergogno non poco, padre, per timore che pensino che io sono stato tentato da questa leggerezza».
Il Santo allora tagliò corto:
«Lasciamo andare allora, fratello. È bene tralasciare molte cose perché sia salvo il buon nome».
La notte seguente, mentre il Santo era sveglio e meditava su Dio, all'improvviso risuona una cetra con meravigliosa e soavissima melodia.
Non si vedeva persona, ma proprio dal continuo variare del suono, vicino o lontano si capiva che il citaredo andava e ritornava.
Con lo spirito rivolto a Dio, il Padre provò tanta soavità in quella melodia dolcissima, da credere di essere passato in un altro mondo.
Al mattino alzatosi, il Santo chiamò il frate e dopo avergli raccontato tutto per ordine, aggiunse:
«Il Signore che consola gli afflitti, non mi ha lasciato senza consolazione.
Ed ecco che mentre non mi è stato possibile udire le cetre degli uomini, ne ho sentita una più soave ».
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